mercoledì 30 novembre 2022

Il Portastendardo di Civitella del Tronto n. 18

 Elogio del presepe napoletano



Incipit

Il termine presepe (o presepio) deriva dal latino praesepe (o praesepio o ancora praesepium) che vuol dire mangiatoia, Ed effettivamente tutto ruota attorno alla mangiatoia. È storicamente noto che l’idea di rappresentare la natività di Gesù, durante il periodo natalizio, venne a S. Francesco d’Assisi che nel 1223 realizzò a Greggio il primo presepe.

Nei primi secoli successivi a questa data l’iconografia presepiale è ridotta all’essenziale: Gesù, Maria, Giuseppe, il bue, l’asinello, gli angeli, i pastori ed i Magi. A Napoli abbiamo, invece, notizie del presepe già in epoca antecedente a quello di S. Francesco d’Assisi. Infatti, un documento del 1025 narra dell’esistenza di un presepe nella chiesa di S. Maria del Presepe.

Il presepe napoletano

La caratteristica principale del presepe Napoletano riguarda i personaggi della scena presepiale che prendono tutti il nome di Pastori poiché, utilizzando una estensione semantica, i primi ad accorrere alla culla del bambinello Gesù furono i pastori. La differenza tra il primo presepe francescano, che era composto da personaggi viventi, e quello napoletano risiede nelle figure che si adottarono. Erano figure in terra cotta e tutto ebbe inizio con della natività presentate in “scarabattole” (contenitori di vetro generalmente a forma di campana).

Ma dobbiamo attendere il 1283 per vedere la vera rappresentazione presepiale napoletana, completa di altri personaggi, quando lo scultore Arnolfo di Cambio realizza otto statuine di legno della Natività e dei Re Magi.

È da questo momento che il presepe inizia a diffondersi in tutto il Regno di Napoli. Quaranta anni più tardi, ad Amalfi, precisamente nel 1324, varie fonti registrano un “Cappella del Presepe di casa d’Alagni”. Nel 1340, la regina Sancia d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, regalò alle clarisse un presepe per la loro nuova chiesa. Oggi, in Napoli, è rimasta solamente la statua della Madonna, che si conserva nel museo di San Martino. Altri esempi di presepi in Napoli si possono datare al 1478. Tuttavia solo nella seconda metà del Quattrocento assistiamo allo sviluppo della scultura presepiale a Napoli ad opera di alcuni maestri di origine nordica come Pietro e Giovanni Alemanno. A costoro si deve la realizzazione di figure presepiali in legno per la chiesa di San Giovanni a Carbonara, di sant’Egidio e dell’Annunziata. Sulla scia degli Alemanno si muove il bergamasco Pietro Belverte, del quale si ricordano le due statue nella cappella Carafa di San Domenico Maggiore, residuo di un gruppo più ampio. Più tardi si inserisce tra i maestri dei pastori anche il giovane Giovanni da Nola.

Il presepe napoletano nel ’500

Solamente nel ’500 vediamo popolarsi il presepe napoletano. Alle figure della Madonna, di San Giuseppe, del bue e dell’asinello si aggiunsero altri elementi o figure: gli angeli, la stella cometa, i re magi e i pastori. Nel 1507 il lombardo Pietro Belverte scolpì a Napoli 28 statue per i frati di San Domenico Maggiore. Nel 1532 abbiamo le prime novità: Domenico Impiccati fu, probabilmente, il primo artista a realizzare dei pastori in terracotta, ad uso privato. Nel 1534, in età ispanica, giunge a Napoli San Gaetano da Thiene, che aveva già dato prova di grande amore per il presepe in Santa Maria Maggiore a Roma. Gaetano da Thiene, fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari Teatini, con l’introduzione di molteplici personaggi del popolo, vuole portare in scena dei testimoni fedeli dell’Avvento. Il santo si trovava a Roma la notte di natale, quando ebbe una visione che raccontò a suor Laura Mignani in una lettera del 1516. Stava celebrando la sua prima messa nella basilica di Santa Maria Maggiore, di fronte alla sacra cena, quando gli apparve la Vergine Maria che lo guardò e tese le braccia verso di lui porgendogli il tenerissimo neonato. Quando San Gaetano giunse a Napoli si ricordò della visione e ciò lo spinse a diffondere il presepe già in uso, nelle chiese e nelle case. Secondo le cronache del tempo, San Gaetano avrebbe allestito il suo primo presepe nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta, nel 1533. La sua popolarità fu immediata ed il presepe fu allestito anche nell’Ospedale degli Incurabili. A lui dobbiamo, secondo i racconti della sua vita, la volontà di affollare di umanità il presepe, di farne paesaggi sconfinati di cartapesta e cartone, brulicanti di persone, proprio come è l’umanità di Napoli.

Il presepe napoletano nel ’600

Per tutto il Seicento assistiamo a Napoli alla maturazione dell’arte del presepe nel campo della devozione privata e pubblica. E vengono impiegate figure più ridotte dimensioni in legno, in terracotta, in cera, d’argento e di corallo. Ora i presepi appaiono più fastosi ed affollati. Il paesaggio intorno alla Santa Famiglia diventa più complesso e si arricchisce di mille particolari. In questo secolo gli artisti specializzati nella realizzazione dei Pastori iniziano ad apportare modifiche alla scena rappresentata che è quella della Natività. In tal modo iniziano ad essere inseriti personaggi della vita quotidiana che non avevano nulla a che fare con la sacra famiglia. Si stava facendo strada la rappresentazione dell’umanità: i mercanti, gli artigiani, i fruttivendoli e così via. Non a caso, questi Pastori sono modellati nell’atteggiamento caratteristico della “vita quotidiana” con le tipiche espressioni di estasi, meraviglia, pigrizia come è ben evidente quando si osservano quei presepi: dal signorotto del ceto elevato al pezzente, fino a personaggi deformi. Questa moltitudine di gente affolla la scena muovendosi tra il mercato, la taverna per recarsi alla grotta che accoglie la Sacra Famiglia, già gremita di greggi, animali vari, ambulanti ed il corteo dei re Magi, con al seguito una banda di personaggi orientali.

Nel primo ventennio del secolo, i sacerdoti scolopi introducono a Napoli il presepe barocco. I pastori vengono sostituiti da manichini snodabili di legno, rivestiti di stoffa o di abiti. I primissimi manichini napoletani erano a grandezza umana. Successivamente si ridussero fino a 70 centimetri. Il presepe barocco più famoso fu realizzato nel 1627 dagli scolopi alla Duchessa. Nel 1640, grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno, ma furono realizzati con un’anima in filo di ferro rivestito di stoffa che consentì ai pastori di assumere pose più modellabili. Sempre in questo secolo, il presepe allarga lo scenario. Non viene più rappresentata solamente la grotta della Natività, ma il mondo profano esterno: in puro gusto barocco, si diffusero le rappresentazioni delle taverne con ben esposte le carni fresche in vendita ed i cesti di frutta e verdura. Così le scene diventano sfarzose e particolareggiate.

Verso la fine del secolo nacque la teatralità del presepe napoletano. La scena si arricchì con la tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare ogni arte nella quotidianità così come essa si manifestava animando piazzette, vie e vicoli. Così divennero protagonisti della scena presepiale i vari personaggi del popolo: i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i tavernari, gli osti, i ciabattini. Si ebbe, in pratica, la rappresentazione degli umili e dei derelitti: erano le persone tra le quali era nato Gesù. In questo scenario realistico, particolarmente significativa divenne l’aggiunta dei resti di templi greci e romani, per sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine delle colonie pagane. E sempre in questo secolo nasce a Napoli la fiera di Santa Lucia, un mercato annuale dove ancora oggi vengono venduti i pastori realizzati dagli artigiani locali.

Il presepe napoletano nel ’700

Nel Settecento il presepe napoletano visse la stagione d’oro. Uscì dalle chiese, dove era oggetto di devozione religiosa, per entrare nelle regge di Napoli e Madrid (Filippo V a Madrid amava esporre un celebre presepe regalatogli dal napoletano Nicola Speruti) e nei palazzi dell’aristocrazia. Nobiltà ed alta borghesia gareggiarono nell’allestire impianti scenografici sempre più ricercati. Lo scultore napoletano Giuseppe Sammartino, abilissimo a plasmare figure in terracotta, diede inizio alla scuola degli artisti del principe.  In questo secolo il presepe napoletano si arricchisce di storia. I luoghi ed i pastori che affollano la drammaturgia presepiale diventano novanta, anche se, purtroppo, oggi, di molti di essi se ne sono perse le tracce.

L’impianto scenico del Presepe

Rossella D’Antonio ha dedicato vari studi al presepe napoletano. La giornalista osserva che questo si sviluppa lungo un tragitto ad imputo o tragitto circolare. È un percorso in discesa che parte da una scenografia montagnosa e rimanda all’entroterra avellinese per giungere alla grotta del Bambino passando attraverso la riproduzione di uno spaccato della città napoletana.

I luoghi del presepe

Betlemme. Questa città della Giudea, nel presepe di cui stiamo trattando si napoletanizza ed affida agli osservatori di ogni tempo un messaggio già cristiano. La città, i suoi abitanti, le stradine e gli scorci sono angoli caratteristici di un possibile Napoli antica e diventano scenografia presepiale in bilico tra il sacro ed il profano. Il castello, nella composizione architettonica del presepe è in posizione dominante e rimanda alla figura di Erode ed alla strage degli innocenti. La Natività: spartiacque della storia, è al centro del presepe. Il focus della scena è costituito dalla grotta nel cui roccioso antro si fa nascere il Bambinello. Nei pressi della grotta si vanno a collocare, in opposizione, la fontana ed il pozzo. Convergono verso la scena della natività una folla di pastorelli, pecore ed altri animali da pascolo che rappresentano il gregge dei fedeli guidati dalla luce divina, la quale abbaglia e stupisce i presenti. Si fanno strada tanti poveri ed emarginati, mendicanti e storpi: costoro rimandano alla misericordia del Signore e alla richiesta di preghiere come se fossero le anime del purgatorio che a Napoli vengono definite “anime pezzentelle”. La fontana rimanda all’acqua santa, salvifica, e rappresenta la Vergine Maria intenta ad attingere acqua quando avvenne l’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele. Il pozzo è, al contrario, il simbolo del male. Esso è infido per la sua profondità ignota. È un collegamento tra le tenebre ed il mondo in superficie. È il simbolo del maligno.

Seguono il ponte ed il fiume sottostante. Il ponte simboleggia il passaggio, lo strumento che collega il mondo dei vivi a quello dei defunti, nonché luogo di spaventosi incontri notturni. Nell’ottica cristiana è il simbolo che congiunge i due mondi: il terreno ed il divino.

Sotto il ponte vi è l’impetuoso fiume, sorgente sacra di vita, simbolo di purificazione nonché riflessione sullo scorrere del tempo. L’acqua del fiume racchiude vari significati ancestrali che vanno dalla vita, alla morte, alla rinascita. L’acqua, in particolare, nell’ambito presepiale, allude anche al battesimo.

L’osteria o taverna è sempre presente nel presepe napoletano. Ricca di oggetti, caotica, popolata da molti personaggi, riassume una complessità di significati. Luogo di ristoro, tappa obbligata per viaggiatori e pellegrini, è anche il luogo in cui Giuseppe e Maria nel loro viaggio, a causa del censimento, cercano ristoro ed alloggio. Al tempo stesso è anche luogo di svago, di ubriacature, di risse e di molestie.

I pastori del presepe.

Tra i pastori ricorrenti nel presepe napoletano c’è Benino (o Beniamino), tra i più caratteristici del presepe napoletano, che viene rappresentato mentre dorme. Col tempo su questo pastorello è stata costruita una leggenda: essa vuole che tutta la scena raffigurata nel presepe non sia altro che un sogno di Benino, una creazione della sua fantasia onirica. Il pastore dormiente viene collocato nel presepe napoletano nel punto più alto della scena presepiale perché tutto ciò che si trova al di sotto è frutto della sua mente. Simbolicamente, Benino rappresenta tutti noi, vecchi ed addormentati di fronte al Divino al quale possiamo avvicinarci solo con i sogni. Tutto intorno a Benino osserviamo la natura selvaggia dei pascoli e dei monti mentre giù a valle c’è il chiasso urbano con l’osteria, il mercato e l’umanità che vi si aggira.

Il pastore delle Meraviglie: posizionato nei pressi della grotta, con braccia e bocca spalancate, assiste con stupore alla nascita del Bambinello.

CicciBacc Ngopp a Bott, che tradotto dal napoletano sta per “Cicci Bacco sulla Botte”. È un Bacco napoletano ed è un pagano. Raffigurato brillo e seduto su una botte, alla guida di un carro. Sottolinea la demarcazione tra sacro e profano. L’oste: questo personaggio assume un significato negativo, a volte associato alla figura del demonio.

I due compari: Zì Vicienzo e Zì Pasquale. Costoro personificano il Carnevale e la Morte.

I Mendicanti rappresentano le anime del Purgatorio che chiedono ai vivi delle preghiere.

Il Pescatore ed il Cacciatore: i due Pastori rappresentano il ciclo della vita. Il Pescatore simboleggia Dio pescatore di anime e raffigura la vita; il secondo, è l’espressione della morte.

I 12 venditori di alimenti. Allegoria del numero degli Apostoli e dei 12 mesi dell’anno. Il mese di gennaio rappresenta il macellaio, venditore di carni e salumi. Il mese di febbraio è incarnato dal venditore di ricotta e formaggi. Marzo è presente con il venditore di pollame e cacciagione. Aprile si presenta come il venditore di uova. Maggio è rappresentato simbolicamente da una coppia di giovani sposi con cesto di ciliegie. Giugno è il mese in cui matura il grano e lo osserviamo attraverso il panettiere e il mulino. Luglio ha le fattezze di un venditore di pomodori. Agosto ha le fattezze del venditore di angurie. A Settembre troviamo un personaggio che a volte vende fichi oppure un contadino che semina nei campi. Ottobre, mese della vendemmia è presentato dal vinaio o dal cacciatore. Novembre compare con il venditore di castagne. Dicembre, infine, è rappresentato dal pescatore o pescivendolo.

I Re Magi

Simboleggiano il viaggio di ricerca dell’uomo che vede nella creazione un segno divino. Sono le figure più importanti del presepe. Sono tre e portano i doni: oro, incenso e mirra.

Essi chiudono il corteo dei Pastori con i loro cavalli bianco, nero e rosso bianco. Il bianco simboleggia l’aurora; il rosso o il bianco per il mezzogiorno; il nero per la notte.

Essi rappresentano altresì il viaggio in senso solare. Provengono dall’Oriente, dove nasce il sole, e, metaforicamente, alludono alla venuta del Cristo. Spesso accompagnati da un fastoso corteo di nobili Georgiani, una popolazione proveniente dal Caucaso.

Le donne del presepe

Le donne del presepe napoletano svolgono ruoli chiave: nei pressi dell’osteria c’è la Meretrice che attira gli avventori con le sue lusinghe peccaminose. Sono presenti le Lavandaie intente a lavare i panni alla fontana o al fiume. Esse assumono un significato maieutico: accorrono in aiuto di Maria per il parto e stendono i loro panni bianchi come simbolo di purezza.

Si vedono Zingare nell’atto di chiedere delle elemosine. Simboleggiano la commistione fra il mondo pagano e il mondo cristiano. Una di esse è rappresentata con un bimbo in braccio o con una cesta di strumenti al mano. Poiché si pensava che le zingare potessero prevedere il futuro, per questa capacità la zingara del presepe napoletano è associata alla Sibilla Cumana. Essa è munita di un canestro pieno di arnesi in ferro, presagio dei chiodi della crocifissione. Questa Sibilla rimanda alle Sibille dell’antichissima colonia greca di Pozzuoli. Nei pressi della grotta vediamo Stefania, una pastorella che nasconde sotto la veste una pietra per fingersi incinta. Nei tempi antichi, una prassi popolare vietava alle donne nubili di far visita alle puerpere. Stefania, che desidera ardentemente di vedere il Bambinello divino, si finge gravida per ingannare gli angeli. Quando giunge alla presenza della Vergine Maria, si compie il prodigio: la pietra starnutisce e si trasforma in un bambino. Gli angeli si erano accorti della finzione di Stefania ed avevano mutato la pietra in un bambino a cui fu dato il nome di Stefano, la cui festa onomastica viene celebrata il 26 dicembre, il giorno successivo al santo Natale.

Presepe colto e presepe popolare nella tradizione napoletana

La tradizione napoletana ci ha trasmesso due differenti tipi di presepe. Abbiamo infatti quello colto e quello popolare. Il presepe colto è di dimensioni maggiori rispetto al presepe popolare. Esso ospita pastori di notevole altezza (intorno ai 50 centimetri) il cui corpo è costituito da un manichino in stoppa, con testa, mani e piedi in terracotta e creta, e rivestito di veri e propri abiti. Le parti in terracotta o legno spesso sono opera di grandi artisti, i cui nomi sono ricorrenti nella storia dell’arte. In questo presepe, lo “scoglio” cioè la struttura raffigura, con scrupolosa precisione, spaccati di Napoli o dei suoi dintorni. E, spesso, la Natività è collocata nei ruderi di un tempio classico romano.

Questo presepe fu sempre appannaggio dell’aristocrazia e dell’alta borghesia per i notevoli costi di allestimento. Il presepe popolare era appannaggio prevalente delle case del popolo napoletano. La struttura presepiale è molto semplice. Formata da assi di legno ricoperte di sughero. Gli stretti ripiani, raffigurano i tornanti di un monte e sono collegati al piano di base da una serie di discese.

È popolato da pastori in terracotta dell’altezza di 6, 12, 18 centimetri. Ma anche in questo presepe ogni elemento collocato ha un proprio significato.

Il presepe napoletano
contemporaneo

Oggi, il presepe si allestisce l’8 dicembre e la Tradizione vuole che ogni anno ci si rechi nella “via dei Pastori”, cioè via San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli, per acquistare un nuovo Pastore da inserire nel proprio presepe. E per come esso è giunto a noi, non vi è un solo particolare posto a caso. Ogni aspetto, sia esso riferito ai pastori che agli elementi, tutto è archetipo ed allusione. Ed il bambinello che nasce è posto nella culla esattamente alla mezzanotte del santo Natale.

 

Il Presidente degli Incontri
Tradizionalisti di Civitella del Tronto

Dott. Francesco Maurizio Di Giovine

Commendatore dell’Ordine
della Legittimità Proscritta

 

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