Una riflessione
di Gianandrea de Antonellis
Infatti, cronologicamente (e logicamente) parlando, la
Rivoluzione non è uno stadio iniziale, bensì successivo e contrapposto a uno
stato preesistente di Ordine (il kosmos). A differenza di quanto
suggerivano i miti greci («Nel principio era il Caos»), la nostra cultura fa
iniziare la storia con un concetto opposto: «In principio era l’Ordine», il Kosmos
o, evangelicamente, il Logos («ἐν
ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος»,
recita appunto il prologo o initium Evangelii
secundum Ioannem letto quotidianamente nella versione latina al
termine di ogni Messa).
L’Ordine, quindi, precede sempre la Rivoluzione (ovvero il
disordine). La Controrivoluzione (cioè «il contrario della Rivoluzione e non
una Rivoluzione contraria», per citare Joseph de Maistre) segue,
cronologicamente (e logicamente) la Rivoluzione, ma non postula altro che un “ritorno
all’Ordine”.
Quest’ultimo elemento, la Controrivoluzione, è un aspetto quasi naturale della ricerca dell’Ordine e del conseguente rifiuto del Caos. Infatti, pressoché ovunque la Rivoluzione abbia cercato (spesso riuscendovi pienamente) di distruggere l’Ordine, si è comunque avuto un tentativo di ritornare all’Ordine iniziale[1]: dallo schema classico della tragedia greca alle Insorgenze antigiacobine, alla rottura dell’iniziale situazione di (perlomeno maggiore) serenità segue il tentativo di ristabilire il modello primigenio.
Quindi, anziché della dicotomia “Rivoluzione-Controrivoluzione”
si dovrebbe parlare di “Ordine-Rivoluzione” o, meglio, della triade “Ordine-Rivoluzione-Controrivoluzione”
oppure “Ordine-Rivoluzione-Antirivoluzione”[2].
Non ci troviamo però di fronte alla classica triade
hegeliana di tesi-antitesi-sintesi in cui un elemento genera il proprio
opposto e trova alfine una conciliazione con esso: non può infatti esistere
alcun compromesso (cioè alcuna sintesi) tra Ordine e Rivoluzione[3].
La sintesi hegeliana tende a uno sviluppo (A-B-C), l’antirivoluzione
ad un ritorno alle origini (A-B-A).
Un altro termine usato (in generale in maniera dispregiativa
da parte dei rivoluzionari) è quello di Reazione. Il termine,
etimologicamente parlando, indica però solo un movimento avverso a quello
rivoluzionario, non necessariamente in senso di ritorno alle origini
(antirivoluzione): può esistere anche una “reazione rivoluzionaria estremista”,
antimoderato nel senso di rifiuto del moderarsi della Rivoluzione.
Va constatato che l’antirivoluzione – storicamente parlando
– ha quasi sempre (se non sempre) fallito. Questo perché la Rivoluzione si
presenta come un esercito altamente specializzato e addestrato, in cui l’ala
dell’estrema sinistra (i progressisti) individua gli obiettivi, la sinistra
moderata (i riformisti) conquista le prime posizioni e, mentre riparte verso
quelle più avanzate, l’ala destra (i conservatori) le consolida, dicendo ai
suoi sostenitori che è meglio rimanere dove si è senza cercare di tornare
indietro, perché altrimenti si creerebbe un conflitto, e che è meglio
preservare la pace sociale e che è un bene accettare un “male minore”.
Dato che si continua comunque a procedere in direzione del
peggio, il male “maggiore” di oggi sarà il male “minore” del domani.
Insomma, anziché un realizzare il ritorno alla situazione
originaria (A-B-A), i movimenti controrivoluzionari (dalla Vandea alla Cruzada) hanno al massimo
raggiunto l’obiettivo di moderare gli effetti della rivoluzione e spesso di conservarli
(A-B-C, se non A-B-B1). Naturalmente, in questo caso parlo degli effetti
della lotta controrivoluzionaria, messa in atto in buona fede al fine di
ristabilire l’Ordine, non della politica realizzata in malafede dai
partiti moderati e conservatori a cui si riferiva il filosofo carlista Jaime Balmes
nel suo celebre aforisma: «Il partito conservatore conserva gli effetti della
Rivoluzione, quello moderato si limita a moderarne gli impeti»[4].
* * *
A proposito della teoria del male minore: è invalso l’uso
di considerare – soprattutto in ambiente sedicente tradizionalista ma in realtà
nostalgico-conservatore – come positivo il ritorno al recente passato, spesso
oggettivamente migliore del presente, senza rendersi però conto che quel più o
meno recente passato è la causa immediata della situazione attuale.
Sicuramente, in una situazione di motus in fine velocior, il passato risulta essere preferibile al
presente; ma ci si deve rendere conto che postulare il ritorno all’immediato
passato non rappresenta la soluzione. Anzi, rischia di essere un grave errore
di calcolo, consistente nel confondere la causa con la soluzione, cioè scambiare
come possibile rimedio ciò che in realtà non è altro che la causa immediata
della soluzione presente.
Forse il concetto è meglio comprensibile ricorrendo a una
metafora.
La Rivoluzione è una lancia. Ciò che ferisce è indubbiamente
la cuspide, la punta in metallo; ma questa, in sé, non sarebbe tanto pericolosa
– perché meno lunga di una daga o di un semplice pugnale, nonché difficilmente
maneggiabile – se non fosse connessa al lungo bastone in legno. E questo è il
risultato della concrezione degli errori del passato, dal loro successivo
sedimentarsi. Il presente ferisce, ma è il passato che le dà forza.
* * *
La rivoluzione francese (spiego più sotto perché ho deciso
di scriverlo con la minuscola) fu lo sbocco di un percorso di cui la parte
immediatamente precedente era costituita dall’Illuminismo, dal regalismo e, più
a monte, dal protestantesimo.
Il Terrore, la sua fase più acuta, fu sicuramente
spaventoso, sconvolgente e terrificante quanto si vuole (tanto da essere
appunto definito Terrore, ma fu pur sempre la “naturale” conseguenza
delle fasi precedenti. O meglio, fu una delle naturali conseguenze dei
presupposti illuministici. Avrebbe potuto
essere diversa, avrebbe potuto prendere altre direzioni meno
sanguinarie, ma – se rimaniamo nel campo delle ipotesi – avrebbe potuto
essere anche peggiore, realizzare una più vasta carneficina, riuscire a imporre
più a lungo, se non definitivamente la decimalizzazione del sistema di
misurazione – non solo quello spaziale metrico, ma anche quello del computo del
tempo dell’anno (con l’imposizione dei decadì al posto dei giorni della
settimana) e dell’ora (con ore di 100 minuti e minuti di cento secondi) – e
soprattutto la decimazione della popolazione, per estirpare la mala
pianta di chi solo osava pesare che si potesse continuare a misurare le
settimane in sette giorni, magari chiamando i giorni con il Santo che vi era da
secoli celebrato…
In ogni caso, rimanendo al dato storico, non si può negare
il Terrore non sia la degenerazione del moto rivoluzionario,
bensì la sua diretta e inevitabile conseguenza. Altri “Terrori” si sono
succeduti ovunque si sia imposta la rivoluzione: alcuni acclarati e
riconosciuti da tutti (ancorché spesso guardati con indulgenza e
sostanzialmente accettati come “un male necessario per il bene del popolo”) da
quello di Stalin in Unione Sovietica a quello di Pol-Pot in Cambogia; altri
sono meno noti e – per quanto possibile, nascosti (come avviene con i massacri compiuti
dai repubblicani in Spagna; con le epurazioni volute da Allende in Cile; con le
stragi commesse dai partigiani rossi in Italia, da Porzûs al Triangolo della
Morte) a meno che la matrice, pur se di fatto rivoluzionaria, non si presenti
sotto le apparenti vesti della reazione fascista[5].
Scrivere “Rivoluzione” o “rivoluzione” francese?
Perché – mi chiedo – scrivere Rivoluzione francese e
non, più semplicemente, rivoluzione francese, usando cioè per il
sostantivo la minuscola al posto della maiuscola? Perché darle tanta
importanza? Quella francese è stata – indubbiamente – la rivoluzione che ha
portato maggiore sconvolgimento nella vita del mondo. Scrivere quella parola
con la maiuscola, quindi, servirebbe a riconoscere la sua importanza storica e
sociale, apparentemente superiore a quella di ogni altro movimento
rivoluzionario.
Ma perché scrivo apparentemente? Perché essa è stata
solo un episodio (sia pure, al momento il più eclatante e più carico di
conseguenza) del lungo e finora inarrestato cammino della Rivoluzione (questa
volta scritto appositamente con la maiuscola), che parte dall’Umanesimo e
giunge (per ora) al transumanesimo; un percorso di cui fanno parte il
nominalismo filosofico e il protestantesimo religioso, le cinque “fratture” che
divisero la Cristianità, portando all’indifferentismo e al regalismo, prima di
giungere al giacobinismo, non sconfitto ma semplicemente sostituito dal
cesarismo napoleonico, altra faccia della stessa medaglia rivoluzionaria.
Peraltro, almeno in quanto a numero di morti, il
giacobinismo è stato successivamente superato dal bolscevismo, dal cekismo, dal
maoismo, dal comunismo cambogiano e via enumerando… Sono le successive
concrezioni che hanno formano l’asta di cui parlavo paragonando la Rivoluzione
a una lancia che ci permettono di giungere, ai nostri giorni, all’attuale (formalmente
incruenta ma non meno pericolosa) dittatura del relativismo. Ripeto: il
presente ferisce, ma è il passato che le dà forza.
Consideriamo le date in cui si espresse la rivoluzione
francese propriamente detta:
Breve excursus cronologico
1789
5 maggio: apertura degli Stati
generali a Versailles.
17 giugno: il Terzo Stato si
costituisce in Assemblea Nazionale: su richiesta del Re si aggiungeranno gli
altri due Stati.
9 luglio: l’Assemblea si
proclama Costituente.
20 giugno: giuramento della
Pallacorda.
14 luglio: presa della
Bastiglia.
17 luglio: inizio dell’emigrazione
degli aristocratici.
1790
26 febbraio: con un decreto
viene abolita l’antica suddivisione della Francia in province e viene attuata
la suddivisione amministrativa in Dipartimenti.
12 luglio: approvazione della
“Costituzione civile del clero”.
1791
21 giugno: arresto a Varennes
del Re e della famiglia reale.
1792
10 agosto: assalto alle
Tuileries.
2-7 settembre: massacri di
settembre: esecuzione sommaria di 6.000 detenuti, accusati di essere partigiani
del Re,
21 settembre: Costituzione
dell’anno I e proclamazione della Repubblica.
22 settembre: parte il I anno
della Repubblica, che dovrà essere riportato sugli atti pubblici.
19 novembre: la Convenzione
dichiara il proprio diritto di intervento “ovunque un popolo voglia
conquistarsi la libertà”.
1793
21 gennaio: esecuzione
capitale di Luigi XVI.
1º marzo: scoppia l’insurrezione
in Vandea;
10 luglio: la Convenzione
nomina il Comitato di salute pubblica (nove membri): è l’inizio del Terrore.
17 settembre: “legge dei
sospetti”: sono considerati controrivoluzionari tutti gli emigrati e i loro
parenti, i nobili e i preti refrattari.
6 ottobre (“15 Vendemmiaio”):
entrata in vigore del calendario rivoluzionario, con 12 nuovi mesi di 3 decadi,
anziché quattro settimane.
16 ottobre: esecuzione
capitale di Maria Antonietta.
1794
8 giugno: festa dell’Essere
Supremo per favorire la scristianizzazione.
27 luglio (9 Termidoro):
truppe fedeli alla Convenzione occupano l’Hotel de Ville: il giorno dopo
Maximilien de Robespierre viene ghigliottinato insieme al fratello Augustin, a
Saint-Just ed altri; è la fine del periodo detto Il Terrore.
1795
23 settembre: proclamazione
della Costituzione dell’anno III e istituzione del Direttorio
5 ottobre: Insurrezione realista
del 13 vendemmiaio: Napoleone, comandante della piazza di Parigi, fa aprire il
fuoco sulla folla, causando circa 300 morti tra i controrivoluzionari.
1796
10 aprile: ha inizio la prima
campagna d’Italia.
16 ottobre: proclamazione
della Repubblica Cispadana (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio nell’Emilia).
1797
29 giugno: nasce la
Repubblica Cisalpina (ex Ducato di Milano, Bergamasco, Cremonese, Modenese).
17 ottobre: il trattato di
Campoformio cede Venezia all’Austria,
1798
5 febbraio: il generale Louis
Alexandre Berthier, inviato dal Direttorio, occupata Roma il giorno 11,
dichiara decaduto il potere temporale del Papa (Pio VI) e proclama la
Repubblica Romana; 500 casse di oggetti d’arte e trenta milioni vengono inviati
a Parigi.
5 settembre: coscrizione
obbligatoria per tutti i giovani dai 20 ai 25 anni di età (5 anni in tempo di
pace e illimitata in tempo di guerra).
1799
22 gennaio – 13 giugno:
Repubblica napoletana: circa 1.500 condanne a morte comminate dai suoi
tribunali.
9 novembre: colpo di Stato
del 18 brumaio: Napoleone scioglie il Direttorio ed il corpo legislativo, istituendo
il Consolato.
Passeranno meno di cinque anni e il 18 maggio 1804 Napoleone
si farà incoronare imperatore. Un imperatore rivoluzionario, certo, ma che
mette da parte le allucinanti pretese (calendario rivoluzionario, sistema
orario decimale, culto della Dea Ragione e dell’Essere Supremo), pressoché
impensabili fino al 1788 e considerati ridicoli già alla caduta di Robespierre.
Al decennio giacobino (in realtà un po’ più breve, almeno in Francia: i
giacobini italiani del 1799 erano in forte ritardo rispetto agli avvenimenti d’Oltralpe,
tanto che gli inviati della Repubblica napoletana non vennero neppure ricevuti
a Parigi dagli esponenti del Direttorio, di posizioni più moderate)
Una volta postasi la corona “imperiale” sulla testa, Napoleone
inaugurò un decennio di una curiosa “retromarcia” culturale durante la quale,
con una mobilità sociale senza precedenti, i suoi accoliti – tutti ex
rivoluzionari, rigidamente ugualitari ed indefessamente antimonarchici (e
quindi anti-aristocratici) – si resero protagonisti di una scalata senza
precedenti a titoli nobiliari (i parenti più stretti di Bonaparte raggiunsero
addirittura un serto regale). Effetto evidentemente dell’epidemia di amnesia
che colpì la Francia di inizio secolo: si racconta che Bernadotte, sbalzato sul
trono di Svezia, non si volesse far visitare dai medici perché aveva tatuato
sul corpo la frase «Morte ai Re»…
* * *
Insomma, la Rivoluzione è quello spirito di rivolta contro l’Ordine
(inveratosi nella Cristianità) che va (attualmente) dall’Umanesimo al
transumanesimo. Le rivoluzioni (francese, o bolscevica, del gender, etc.) sono “soltanto”
episodi singoli (per quanto di enorme importanza) del processo generale.
Sul termine “rivoluzione”
Che cosa vuol dire rivoluzionario? Il Grande dizionario della lingua italiana, come terzo significato, indica:
Profondamente innovativo nei confronti della tradizione nell’ambito
di un’attività artistica, letteraria o speculativa (un concetto, una teoria, un’opera
o una sua caratteristica).[6]
Il passaggio del concetto di rivoluzione dalla sfera
politica (limitata quindi in particolar modo alla storiografia) a quella
artistica e tecnologica (estesa al mondo degli oggetti di uso quotidiano) ha
comportato una trasformazione in senso positivo della percezione dell’aggettivo
rivoluzionario, non più legato al sommovimento radicale dell’ordine
tradizionale, bensì all’innovazione, sottintendendo un intrinseco miglioramento
dell’oggetto in questione: novità rivoluzionaria, un tempo quasi
sinonimi di cambiamenti dello status quo (ovviamente in peggio – anche
il termine novità e il derivato novatori erano considerati
sinonimi di cambiamenti indesiderati dell’Ordine), adesso indicano
modifiche (naturalmente in meglio)
Rivoluzione e Ordine
Abbiamo già visto come la Rivoluzione (quella con la
maiuscola, che va dall’Umanesimo al transumanesimo – almeno per ora) si opponga
all’Ordine. Ma ciò che si deve intendere per Ordine, altro non è che l’ordine
naturale cristiano, nato dalla fusione della migliore civiltà greco-romana con
i principi del Cristianesimo.
La Rivoluzione, dunque, anticristiana di per sé, anche
laddove non pretendesse di esserlo, è sempre un male ed è sempre da rifiutare.
Essa è sempre e comunque in guerra contro la Cristianità (maior, minor
o minima che sia) e l’Ordine cristiano (o ciò che ne resta). In altre
parole, rappresenta necessariamente un male ed è sempre un
nemico: di conseguenza non esiste – non può esistere – una rivoluzione “buona”,
i cui frutti negativi siano solo involontarie conseguenze, degenerazioni non
volute.
Il Terrore, giacobino o stalinista che esso sia, non è una
degenerazione delle rivoluzioni francese o bolscevica, che in tale distorta
visione sarebbero positive – se non addirittura “necessarie” – in partenza e
solo successivamente, a causa della malvagità di alcuni dei suoi capi,
sarebbero state corrotte. Il Terrore è invece la naturale conseguenza della
Rivoluzione, così come i capi di concentramento o la “soluzione finale” non
sono un semplice “errore di percorso” bensì la logica conclusione di una
mentalità razzista ed eugenetica presente fin dai primordi in coloro che
forgiarono l’ideologia da cui nacque il nazionalsocialismo (come la Società
Thule, a sua vota “debitrice” della Società Teosofica).
A tal proposito, va compreso come anche certi movimenti che apparentemente si pongono come controrivoluzionari (perché si oppongono agli eccessi rivoluzionari), provengano dalla stessa mentalità rivoluzionaria, anche se sono più moderati (e qui va ribadito il monito di Balmes: «Il partito conservatore conserva gli effetti della Rivoluzione, quello moderato si limita a moderarne gli impeti»).
Gli stessi fascismi europei si consideravano rivoluzionari:
quello italiano parlava apertamente di “rivoluzione fascista”[7]
e si definiva “secondo risorgimento” (presentandosi quindi come erede della
“rivoluzione italiana”). Non è solo una questione di termini: la matrice dei
fascismi non è tradizionale, bensì moderna; la provenienza di gran parte dei
loro uomini dalla sinistra movimentista, da società segrete (massoneria
compresa), da una cultura laicista o da una falsa tradizione ricreata a
tavolino[8],
in primis quella neopagana – presente soprattutto nel nazismo della
mitopoiesi del rito[9] – delle
suggestive fiaccolate notturne in occasioni di particolari momenti del
calendario solare[10].
Che sia stata di fatto anticristiana (il nazionalsocialismo
tedesco), indifferentista od opportunista (il Fascismo italiano, le Croci
frecciate ungheresi), apparentemente o dichiaratamente cattolica (il falangismo
spagnolo, il rexismo belga, le Blue shirts irlandesi) o cristiana (la
Guardia di Ferro rumena), l’ideologia dei movimenti fascisti novecenteschi,
eredi dell’hegelismo e dell’esistenzialismo[11],
si muove nell’alveo della Rivoluzione, di cui accetta i principi, ponendo la
razza (nazismo) o lo Stato (Fascismo italiano) al di sopra di tutto.
Concludiamo ripetendo quanto sosteneva Juan Vázquez de
Mella: «non si possono impiccare le conseguenze, dopo aver incoronato le
cause».
[1]
Questo è avvenuto soprattutto nelle zone di cultura cristiana ed in particolare
cattolica: una maggiore acquiescenza si è avuta nel mondo orientale (si pensi
alla Cina), la cui religione tradizionale ha portato ad una accettazione quasi
indolore della rivoluzione maoista.
[2]
Chi propone il termine Anti-rivoluzione indica con la controrivoluzione
non un pensiero assoluto, ma solo un’azione – e un pensiero – che si esprime
unicamente in seguito alla Rivoluzione stessa e magari per la sola
durata di essa. Il termine Antirivoluzione viene invece a coincidere con
il concetto di Ordine.
[3]
Si potrebbe eventualmente riscontrare un procedimento hegeliano nella triade
storica Rivoluzione-Controrivoluzione-Restaurazione, essendo la pretesa
“Restaurazione” del 1815 in realtà una mera conservazione dello status
quo imposto dalla Rivoluzione, quindi una effettiva sintesi e non un
ritorno alle origini. Peraltro va ammesso che – sempre storicamente parlando – molte
cosiddette restaurazioni del XIX secolo, essendo in realtà false
restaurazioni, si possono considerare come vere e proprie sintesi (in
senso hegeliano).
[4]
Il testo originale suona: «Al
partido de 1833 le bautizaron sus instintos y se llamó moderado; al partido que
nace en 1844, partido cuya vida se reconcentra en la grande idea de gobierno,
le bautiza su sistema y se llama conservador: el uno estaba destinado a moderar
los ímpetus de una revolución osada en sus fines y violenta en sus medios; el
otro está destinado a conservar los intereses creados de una revolución
consumada y reconocida». Jaime Balmes,
El Pensamiento de la Nación (1844), Escritos políticos, tomo III (volumen
XXV de las Obras completas),
Barcelona, 1926, p. 241, cit. in Miguel
Ayuso, Las murallas de la Ciudad,
Nueva Hispanidad, Buenos Aires 2001, p. 124.
[5]
È comunque risibile – o meglio, lo sarebbe se non si trattasse di atrocità – lo
scandalo a cui si abbandonano le vestali dell’antifascismo che condannano i
trenta morti causati dalla cosiddetta “rivoluzione fascista” in Italia tra il 1919 e il 1924 (delitto Matteotti)
quando non battono ciglio di fronte al fatto che nella Russia di Lenin un tal
numero di assassini avveniva quotidianamente (basti pensare al massacro della
famiglia dello Zar – compresi cuoco, cocchiere, cameriera e medico – avvenuta
ad Ekaterinburg solo pochi anni prima).
[6] Grande
dizionario della lingua italiana [GDLI], Accademia della Crusca, Utet, Torino
vol. XVI, p. 1.087.
[7]
«Da quali circostanze e per quale processo storico si sia espresso il nostro
movimento politico, come abbia, sotto la spinta rivoluzionaria,
conquistato il potere e dato una nuova costituzione allo Stato,
mantenendo istituti, trasformandone altri ed altri ancora creandone di nuovi
non possiamo in questa sede indagare. Qui, in sede di esposizione dottrinale,
segniamo soltanto le fasi di questo rinnovamento politico, per il quale il
movimento fascista ha compiuto la sua rivoluzione poggiando sovra un
partito rivoluzionario, che poi divenne la base della costituzione
nuova. Iniziò la sua rivoluzione con un’insurrezione, per compiere,
sotto la guida d’una dittatura rivoluzionaria, quell’instaurazione rivoluzionaria,
che dette origine al regime, sul quale si compose il nuovo Stato e si formò
l’ordinamento costituzionale, basato sovra una legislazione prettamente rivoluzionaria.
È stato un procedimento nettamente rivoluzionario, attraverso il quale
si è potuta superare la crisi acuta e profonda, in cui, in un dato momento
della sua storia, si dibatteva disperatamente il popolo italiano». Guido Bortolotto, Dottrina del
Fascismo, Hoepli, Milano 1939, p. 362. Corsivi miei.
[8]
«Anche se insistevano nel ribadire che la loro nuova fede si fondava sul
passato mistico della Germania, i paganisti nazisti trovarono molta della loro
dottrina nelle filosofie di un passato molto più recente». Richard Steigmann-Gall, Il santo
Reich. Le concezioni naziste del cristianesimo, Boroli, Milano 2005, p. 413.
[9] La mitopoiesi
del rito consiste nel creare (dal greco poiesis) il mito attraverso
il rito (anziché viceversa). Mentre il cristianesimo (essendo basato su fatti
reali) fa discendere il rito dal mito (o meglio dalla storia), ricordando
alcuni momenti particolari della vita di Cristo, della Madonna o di alcuni
santi in determinati giorni (processioni del Venerdì Santo, del 15 agosto,
dell’8 dicembre, etc.), il paganesimo (falso) crea o ricrea una mitologia a
partire dal rito (fiaccolate in occasioni di ricorrenze del tempo pagano che
oggi hanno nomi cristiani, come la notte di – Santa – Valpurga, di San
Giovanni, di Ognissanti o Halloween).
[10] In
particolar modo riesumando le feste celtiche legate al ciclo solare, la
cosiddetta Ruota dell’Anno che prevede otto festività di cui le quattro
maggiori Yule, Ostara, Litha e Mabon corrispondono
ai solstizi ed equinozi e le quattro minori, Samhain, Imbolc, Beltane
e Lughnasadh corrispondono ai punti mediani tra di essi.
[11] Cfr. a
tal proposito, Rafael Gambra, Eso que llaman Estado, Montejurra,
Madrid 1958, trad. it. Ciò che chiamano Stato, Solfanelli, 202?, cap. La moralità dell’esistenzialismo.
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