di Riccardo Pasqualin
Il
clima creato nel mondo cosiddetto “occidentale” dall’operazione militare russa
contro il governo di Kiev ci sta mostrando il vero volto dell’informazione
nei regimi sotto cui viviamo. La stampa non ha mai smesso di essere uno
strumento di propaganda (bellica e non), ma oggi la sua parzialità può essere
colta meglio che in altri momenti e potenzialmente da una più vasta quantità di
lettori.
Il 4 ottobre il New York Times ha pubblicato il seguente titolo: «I comandanti del celebre Battaglione Azov ucraino hanno tenuto un emozionante incontro con le loro famiglie in Turchia, hanno dichiarato i funzionari ucraini, onorando i combattenti liberati dalla prigionia russa il mese scorso». Anche Pina Debbi, vicedirettrice del TgLa7, ha voluto dire la sua: «Ecco i terribili “nazisti” di Azov, liberi in Turchia dopo lo scambio di prigionieri con Mosca. Hanno riabbracciato mogli e figli. Tra loro, con una decina di kg in meno, i capi Prokopenko e Volyna. Proclamati eroi nazionali, rimasero due mesi asserragliati nell’Azovstal».
Che
modo di informare è questo? Il fatto che un personaggio abbia una famiglia
dovrebbe determinare il giudizio morale dei lettori? Chi ha moglie e figli è
per forza un uomo buono?
Alcuni
demagoghi si pongono sulla scena politica come “il partito degli intelligenti”
contrapposto all’ignoranza del “popolaccio”, essi si presentano come
controllori della verità e smascheratori di notizie fasulle; ma mentre accusano
costantemente i loro avversari di essere menzogneri, sono assai più transigenti
nei confronti dei loro alleati quando divulgano delle falsità. Gli articoli
faziosi e il complottismo vero e proprio, quando vengono formulati da
progressisti sono ritenuti accettabili; talvolta le bufale sono seguite da
rettifiche, ma queste passano sempre in sordina, in modo che la massa tenda a
fermarsi al primo messaggio che è stato diramato. Se i giornalisti ammettono i
loro errori non lo fanno alla luce del sole, questa è l’essenza del loro essere (parlare di un
«loro pensiero» sarebbe eccessivo).
I
demagoghi diffondono anche delle fandonie vere e proprie (e sono consapevoli di
farlo), ma nell’era della rete i più raffinati usano una tecnica differente:
agiscono nel campo del subliminale, con la scelta degli aggettivi e delle
tinte. Per citare un esempio particolarmente triste, c’è molto di cui interrogarsi
sull’uso
che in Italia si fa della cronaca nera, con eccessi che possono far desiderare
che essa sia “ristretta” ai diretti interessati, per destino o per mestiere, e
interdetta del tutto al pettegolezzo popolare.
Platone
nel Teeteto (386-367 a.C. ca.) fa dire a Socrate: «È
il pregio più grande in questa nostra arte, mettere alla prova, per quanto è
possibile in ogni modo, se il pensiero del giovane partorisce immagini o
menzogne o invece un qualcosa di fertile e di vero. Poiché anche questo mi
appartiene, come alle levatrici: io sono sterile di sapienza, e quello che già
molti mi rimproverano è il fatto che interrogo gli altri ma io non rispondo su
alcuna questione, per il fatto di non avere alcuna sapienza: e mi rimproverano
con verità».
Il
demagogo, oggi, è soprattutto il falso maieuta. Vuole dare al suo pubblico l’impressione
di essere una guida che ha trovato la verità dentro di sé, senza rivelare che
il messaggio lo ha ritagliato e assemblato lui stesso.
Nel
presente il tradizionalismo si oppone alla demagogia progressista e
conservatrice (espressioni di un partito unico) con mezzi limitati, ma che può
usare saggiamente per ottenere in prospettiva delle grandi vittorie. La
produzione di testi rivolti ai contemporanei e ai posteri è la strategia
educativa basilare, la più essenziale e la più adatta per chi parte da una
posizione di svantaggio. Intendiamo ciò che i cattolici definiscono “la buona stampa”.
Affidandosi alla condivisione di testi, si confida nella capacità di
autoformazione dei singoli (che a sua volta si fonda sul raggiungimento da
parte dell’individuo della consapevolezza fondamentale che l’apprendimento
prosegue attraverso tutte le stagioni della vita). Spesso – ahinoi – gli autori
controrivoluzionari italici si sono trovati in condizione di isolamento, ma
oggi siamo meno isolati di loro e questo offre un grande vantaggio: ossia
quello di poter agire fuori dall’appannaggio dell’occasionalità e di cercare,
attraverso dei percorsi precisi e funzionali all’epoca presente, di strutturare
un pensiero completo.
La
confutazione frequente dei discorsi dei demagoghi, facilitata da strumenti
comunicativi che pongono tutti su uno stesso piano, permette di agire come una
talpa che rode le fondamenta dell’edificio progressista, il quale potrebbe
trovarsi a non avere più le risorse per tenersi in piedi.
L’opposizione al falso maieuta è fondamentale, ma la contestazione deve accompagnarsi sempre anche a proposte costruttive in cui l’avversario non è nemmeno citato, scavalcando così il semplice reazionarismo, poiché il tradizionalismo non è un’identità fondata sulla negazione (o sull’azione contraria), ma sull’affermazione di idee.
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