La distrazione ucraina
e le minacce turche all’Armenia
Il 2 aprile il ministero dell’istruzione, della scienza, della cultura e dello sport della repubblica armena dell’Artsakh ha diramato una nota in cui si dichiara che «il 24 marzo 2022, a seguito dell’aggressione azera, la zona circostante al villaggio di Parukh nella regione di Askeran della Repubblica dell’Artsakh, l’ex insediamento di Karaglukh e l’omonima altura, sono stati occupati dal nemico e le forze armate azere hanno immediatamente dato seguito al noto copione della distruzione del patrimonio storico e culturale armeno nel territorio occupato».
Dalla fine dell’ultima guerra nel Caucaso, l’Artsakh è difeso da un cordone di truppe russe, ma l’Azerbaigian ha approfittato dell’impegno degli eserciti di Mosca sul fronte ucraino per tentare di penetrare nella regione: dalla cima del monte Karaglukh si ottiene infatti una buona visuale per dominare tutta l’area. I russi sono intervenuti nuovamente per ristabilire i confini pattuiti e una settimana fa si è avuta la conferma del ritiro degli occupanti da Parukh; a Karaglukh, tuttavia, la situazione è ancora immutata.
Bisogna ricordare che il presidente ucraino Zelensky ha stretto legami importanti con l’Azerbaigian ed è noto che guerriglieri azeri combattono nelle forze armate ucraine, ma anche la Turchia non ha esitato a preparare un nuovo attacco all’Armenia usando le armi della propaganda. La notizia sta arrivando anche in Europa, da un paio di giorni circola sulla rete un’orrenda bufala pseudogiornalistica che ci informa in maniera inequivocabile sulle intenzioni criminali della mezzaluna, e a divulgarla sono ucraini residenti in Italia. Ecco il contenuto del comunicato: «Alla fine la notizia di qualche giorno fa era vera. L’Armenia ha passato i suoi caccia alla Russia. È stato reso pubblico anche lo schema dell’invio di caccia Su-30. Come è stato riferito, l’Armenia ha invitato persino gli addetti militari di altri paesi per dimostrare che le informazioni che l’Armenia ha consegnato quattro caccia alla Russia non siano vere [sic]. Tuttavia, un altro tentativo di nascondere la verità è fallito. Il canale televisivo turco Haber Global ha esposto un report dettagliato dell’invio dei caccia Su-30 parte dell’Armenia [sic] in Russia, con un ulteriore focus sulla guerra in Ucraina. Gli aerei che sono stati mostrati agli addetti militari iternazionali [sic] sono stati trasferiti dalla Siria. Yerevan potrebbe ora essere soggetto [sic] a sanzioni internazionali». Altre “variazioni sul tema” riferiscono che la fonte di questa presunta inchiesta sono i servizi segreti turchi, certamente non una voce imparziale. Il tenore del citato messaggio, in stile Google traduttore, è molto indicativo. A chiunque sia dotato di raziocinio è evidente che la Turchia sta cercando di diffondere falsità al fine di isolare l’Armenia e schiacciarla senza incontrare ostacoli esterni, facilitando le azioni belliche progettate dall’Azerbaigian.
La sola idea che la Russia per continuare a combattere possa avere bisogno dei mezzi dell’esercito della piccola Armenia (con tutto il rispetto per le forze militari armene) è ridicola, ma l’Europa ha una pericolosa sete di risorse che potrebbe renderla cieca.
Il 3 aprile Luigi Di Maio ha incontrato il ministro degli esteri azero Jeyhun Bayramov per discutere di un accordo volto a potenziare le forniture di gas alla repubblica italiana in vista degli effetti delle (folli) sanzioni imposte alla Russia, e ciò fa temere che nel nostro paese l’opinione pubblica possa trascurare la questione armena per ragioni di realpolitik. Da tanti giornali italiani, ormai, possiamo aspettarci qualsiasi oscenità; da più di un mese in molti articoli dedicati ai fatti in corso in Ucraina si sono aperte le porte ad una tendenza a giustificare il neonazismo mai vista prima. Le conseguenze culturali di queste operazioni vergognose, compiute e sostenute soprattutto dalle forze progressiste, potrebbero avere delle influenze gravissime sulla realtà sociale e politica italiana.
Ieri un inviato di guerra che segue sui campi di battaglia i reparti delle repubbliche del Donbass, Vittorio Nicola Rangeloni, ha esposto un parallelo tra i reparti ultranazionalisti ucraini e i jihadisti, affermando che le differenze non sono poi molte, ma che «La principale sta nel fatto che i primi si trovano in Europa e [sono] apertamente sostenuti dalle sue istituzioni. Si tratta di persone che in qualsiasi momento, tra i rifugiati, potrebbero raggiungere le città italiane, accolte a braccia aperte, ospitate in TV e trasformate in simboli di “resistenza”».
Rangeloni, però, si trova nel Donbass e forse è poco aggiornato sull’aria che si respira da noi. Tralasciando il fatto che in Europa i terroristi musulmani sono presenti, attivi e organizzati da decenni, vi è da pensare che pur di portare avanti la sua russofobia l’Unione Europea foraggerà anche il jihadismo azero, fedele allo spirito autolesionistico a cui da sempre ci ha abituati.
Riccardo Pasqualin
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