Il passaggio del deserto
Una trappola che il tempo presente ci mette davanti è stata già analizzata e teorizzata dal sociologo Joseph P. Overton il quale descrive i meccanismi necessari a far accettare a un popolo le situazioni che quel popolo considera assolutamente inaccettabili perché contrarie ai suoi principi fondamentali e non negoziabili. Una volta accettata una condizione contraria ai suoi principî fondamentali, un popolo non è più in grado di sopravvivere. Si trasformerà in qualcosa di diverso dal popolo originario. E’ un meccanismo perverso che la sociologia ha classificato come finestra di Overton.
Oggi il nostro popolo è soggetto ad una imposizione surrettizia che di fatto è un obbligo. Quello “vaccinale”. La libertà di non ricorrere a pretesi “vaccini” costituisce l’esercizio di un diritto primordiale antecedente ad altri diritti costituzionali: il diritto biologico. Eppure i giorni, per non scrivere le settimane ed i mesi che stiamo vivendo, sono caratterizzati da quella che possiamo chiamare “l’ossessione pandemica” che ha prodotto un diffuso atteggiamento di emarginazione, respingimento e colpevolizzazione di una componente minoritaria della popolazione italica. Si è fatto ricorso ad uno strumento legale che la generazione vivente non aveva mai incontrato: il possesso di un super lascia passare per accedere all’utilizzo di tutti quei servizi che il diritto mette a disposizione di ogni essere umano a prescindere dal colore della pelle, delle idee religiose e politiche e del genere sessuale. Il popolo della penisola italiana continua ad essere incitato a detestare, se non ad odiare, una componente minoritaria di connazionali “in quanto fonte di pericolo pubblico e usurpatori di posti letto negli ospedali”. Un clima così ostile non si era ancora respirato, se si esclude il tempo della caccia al fascista che caratterizzò gli anni ‘70 ed ‘80 del secolo tramontato.
La effettiva nocività dei nuovi farmaci, impropriamente chiamati “vaccini”, potrà essere valutata solo nel medio – lungo periodo. Basta questa affermazione per riflettere sull’intero racconto della pandemia e sulla efficacia immediata del rimedio “vaccinale”. Perché in nome di una pretesa “finalità sanitaria” classificata come urgente e non procrastinabile sono andate in second’ordine le finalità politico – sociali tipiche dei bisogni della società.
C’è qualcosa che non funziona più in modo ordinato nella società civile. Vi è la fallace presunzione che i governi siano “sovrani” e non pedine di un gioco internazionale se non mondiale. L’inaudita violenza del linguaggio usato dal presidente della repubblica francese Macron, il cui obiettivo era quello di “emmerder” i renitenti alla vaccinazione rappresenta uno dei punti più alti della perversione radicale della politica.
Il Covid ha messo in evidenza le storture del tempo presente. L’informazione televisiva sull’argomento si è trasformata in spettacolo e si è giunti a parlare troppo a lungo dello stesso problema. Spesso si è enfatizzato il caso singolo perché faceva più spettacolo della statistica e immagini prive di utile informazione si vedono in televisione come, ad esempio, aghi che a ripetizione entrano nelle braccia dei volenterosi cittadini.
Per concludere sull’argomento: ribadiamo che non riesco a trovare una logica scientifica nella mancata offerta da parte dello Stato di cure alternative al “vaccino”. Come ad esempio la terapia al plasma o le terapie monoclonali a domicilio.
Un eminente medico di sessantottina formazione, infettivologo, già professore all’Università Statale di Milano, nel settembre dello scorso anno affermò che “parlare di cure alternative al vaccino è inaccettabile”. Peccato che questo insigne professore universitario, pur essendosi già sottoposto alla triplice fase vaccinale, ha contratto il Covid. Ma non è tutto perché per salvare la sua pelle ha fatto ricorso alle cure alternative a domicilio. Forse, a nostra insaputa, quelle cure sono diventate accettabili? Tutti i medici che avevano proposto le cure alternative al “vaccino” sono stati trattati al pari di criminali.
Torniamo alla Tradizione e viviamo il tradizionalismo nell’attesa dell’ultimo appuntamento per tutti: quello del Giudizio Eterno. Nel frattempo non dimentichiamo che in epoche ben più difficili di questa vi furono uomini che affrontarono le epidemie del loro tempo con spirito autenticamente cristiano. Mi vengono alla mente vari episodi che riguardano la vita degli Zuavi Pontifici accorsi a Roma a partire dal 1860 per difendere la libertà del Pontefice e l’indipendenza dello Stato Pontificio. Essi non esitarono ad accorrere, su base volontaria, ad Albano nell’estate del 1867, dove era scoppiato il colera e le autorità municipali terrorizzate erano scomparse assieme ai parenti dei contagiati che fuggivano dalla cittadina per la paure di contrarre il morbo. I morti giacevano per le strade quando giunsero gli Zuavi Pontifici. Essi raccolsero i cadaveri, li composero e li portarono religiosamente al cimitero per dar loro sepoltura. Questi eroi cristiani sfidarono una morte cento volte più terribile di quella che si poteva trovare in battaglia e, al tempo stesso, questa lotta rappresentava l’orrore non avendo l’estasi della lotta, né la speranza della gloria. Per una notte intera gli Zuavi Pontifici consacrarono la loro missione divenendo infermieri. Essi girando per le abitazioni sottrassero alla morte certa tanti ammorbati abbandonati dai parenti. Al termine delle pietose operazioni, sei zuavi risultarono colpiti dal morbo e quattro di essi ne morirono.
Le alte testimonianze di questi autentici eroi caddero nel dimenticatoio nella memoria della stragrande maggioranza delle persone a causa di una malevola informazione nemica della carità cristiana. Ma quel sacrificio resta e rappresenta una testimonianza forte e sempre valida. Perciò non dobbiamo temere le forze del male, sempre fiduciosi nella bontà divina.
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