Note a margine de La Spagna vuota di Sergio del Molino
di Riccardo Pasqualin
Risale al 2019 la traduzione italiana del libro La Spagna vuota del giornalista madrilegno Sergio del Molino, edita da Sellerio. Come suggerisce il titolo, il volume affronta un’analisi di ampio respiro dell’evoluzione storica e culturale delle aree meno popolose della Penisola Iberica: le regioni montuose, rurali e periferiche.
Il presente scritto non
vuole essere una recensione del saggio, ma si limiterà a commentarne
alcuni aspetti, ossia i passaggi relativi al Carlismo dalla sua
genesi al presente. L’obiettivo
di queste note è anche quello di fornire al lettore ramingo
incappato casualmente negli articoli di Ernesto il Disingannato
nuovi lacerti di storia recente del Carlismo, nonché una spiegazione
della distinzione tra la Comunione Tradizionalista sotto la guida di
S.A.R. Don Sisto Enrico di Borbone e le due formazioni
pseudo-carliste (la
Comunión Tradicionalista Carlista e il Partido Carlista).
Nella prefazione all’edizione italiana dell’opera di Sergio del Molino è proposto un veloce confronto tra le Spagne vuote e le province spopolate della Penisola Italica, cioè il Meridione, tuttavia va osservato che lo svuotamento delle Italie non è un fenomeno che colpisce esclusivamente il Sud, bensì anche le regioni del Nord (pensiamo alla montagna e alle campagne). Ciò premesso, basta osservare la carta tematica che abbiamo allegato per costatare come la situazione italiana non sia accostabile a quella della Spagna, dove il paesaggio è caratterizzato da vaste zone montuose che storicamente sono sempre state piuttosto “vuote”: León, Estremadura e Aragona sono aree quasi deserte e la popolazione si addensa in Galizia, Catalogna, Asturie, Province Basche e zone costiere. A ciò va aggiunto poi un dato riscontrabile a livello globale: nel 2008 nel mondo la popolazione urbana ha eguagliato quella rurale e dal 2009 in poi l’ha superata. Si stima (anche se con un comprensibile margine di errore) che nel 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane. Si tratta di una delle trasformazioni più radicali nella storia dell’uomo, i cui esordi vanno ricercati nello sviluppo industriale. «Ma la verità è che la Spagna vuota non è mai stata piena» segnala lo scrittore, «I geografi ritengono che negli ultimi cento anni la popolazione di quelle aree sia cresciuta dal 10 al 20 per cento. Una crescita ridicola rispetto a quella dell’insieme del paese, che è di circa il 230 per cento. Lo spopolamento esiste, è un fenomeno noto e dimostrato, ma la percezione di svuotamento dipende in larga misura dalla stagnazione, in un periodo nel quale le aree urbane hanno conosciuto una crescita demografica esponenziale senza precedenti nella storia».
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La breve ricostruzione del Carlismo proposta da Sergio del Molino non è affatto priva di errori e imprecisioni, tuttavia egli non sbaglia riconoscendo le origini del movimento nell’anti-illuminismo ispanico e nella lotta contro le truppe napoleoniche: «in Don Carlos di Borbone, uomo saldo, senza ombra di opportunismo politico, deciso a estirpare dal corpo nazionale ogni influenza straniera, questa ala reazionaria [noi diciamo invece tradizionalista] trovò finalmente una figura degna delle sue aspirazioni».
Ne La Spagna vuota il Carlismo è considerato «la cultura capace di iniettare forza e autostima in una Spagna che si sentiva morire mentre crescevano le città tentacolari e imbarbarite», un fenomeno, quindi, adatto solo a rappresentare le Spagne “svuotate”, confinato fuori dai centri urbani. Un movimento, in definitiva, che non si era diffuso in campagna per vocazione, ma solo perché le città lo avevano respinto.
Davanti alle biografie dei carlisti “di città”, il pubblicista resta quindi un po’ interdetto: «Valle-Inclán e l’ambiente letterario della capitale sembravano del tutto estranei a ciò che il carlismo rappresentava. Il carlismo era ordine e famiglia. Il carlismo non schiamazzava a notte fonda nelle piazze auliche di Madrid». Ma proprio presentando Valle-Inclán il nostro respinge le tesi di quei critici che hanno ridotto la sua adesione al Carlismo ad un capriccio, una futilità, una posa da ribelle bohémien.
«Si racconta che mentre [Valle-Inclán] rientrava a casa a notte fonda, dopo che le osterie e i caffè avevano chiuso, attraversasse la plaza de Oriente brandendo il suo bastone e si mettesse a gridare in direzione degli appartamenti reali, intimando agli usurpatori di restituire il trono al legittimo re don Carlos»; per gli scrittori progressisti è imbarazzante ammettere che un personaggio cruciale della letteratura spagnola sia stato un tradizionalista, seppur sui generis: «E tuttavia il carlismo di Valle-Inclán non era solo una posa per scandalizzare i borghesi, ma un modo sincero di stare al mondo».
Per i progressisti è stato preferibile trascurare o depotenziare questa fase ideologica della vita dell’artista, perché prendere sul serio il Carlismo di Valle-Inclán significa studiare e prendere sul serio tutto il Carlismo e riconoscere che il tradizionalismo ispanico ha avuto una quantità di intellettuali che nessun movimento legittimista ha mai eguagliato, raggiungendo una profondità di pensiero che la “destra” contemporanea può solo sognare.
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Nella spaccatura tra le due Spagne, del Molino individua il contrasto che diede origine alle guerre civili che costellano la storia ispanica, anche quelle tra i Carlisti e i liberali. Venendo al presente il pubblicista cita lo scontro tra i centralisti (i nazionalisti spagnoli “vecchio stampo”) e i nuovi nazionalisti, ossia i secessionisti, gli etno-nazionalisti, ma non dà adeguato risalto alla “terza via” del foralismo carlista: la ricostruzione delle Spagne tradizionali, plurali e unite dalla Cattolicità.
Utili al lettore italico sono comunque alcuni bei paragrafi scritti dall’autore: «Nascere a Caparroso nel 1948 significava nascere in uno stato dentro lo stato. La Navarra era un ghetto carlista all’interno della Spagna di Franco, l’unica regione a godere di una relativa autonomia e perfino di qualcosa che noi oggi chiameremmo autogoverno. Fu il prezzo che pagò il regime per l’aiuto decisivo prestato dai carlisti della Navarra (c’erano altri carlisti in Spagna, ma quelli non interessavano così tanto) ai militari insorti nel 1936: quarantamila volontari Requetés armati e perfettamente istruiti per il combattimento che risultarono cruciali per il controllo di alcuni territori nelle prime settimane di guerra e per la caduta del fronte del nord già nel 1937. La Navarra era infatti, fin dalla metà dell’Ottocento, il baluardo del Carlismo». Ma ovunque in Spagna, spiega il nostro, il tradizionalismo era minacciato o contaminato dalle spire del franchismo, però è errato credere che il Carlismo avesse rinunciato a «ogni pretesa al trono (anche perché non c’era nessun trono da reclamare)» come scrive confusamente del Molino, che a distanza di alcune pagine è costretto a correggere il tiro ricordando gli scontri tra il traditore Carlo Ugo di Borbone Parma (1930-2010) e suo fratello Don Sisto Enrico, el Abanderado de la Tradición.
Allontanandosi dall’esempio del padre Don Saverio, Hugo Carlos creò tremende fratture all’interno del Carlismo: per opporsi a Franco scelse una linea politica assurda facendosi sostenitore dell’autogestionismo socialista, avvicinandosi silentemente ai separatismi e rinnegando la dottrina carlista. Don Sisto avvertì pazientemente il fratello che i valori della causa carlista erano inalterabili e gli notificò che se egli non si fosse ravveduto si sarebbe assunto in prima persona la responsabilità di reggere la bandiera della Santa Tradizione. Benché avvisato, Ugo non si pentì e Don Sisto fu riconosciuto come unico legittimo Portastendardo della Tradizione, garante della continuità ideologica della Comunione Tradizionalista, in linea con i Re legittimi suoi predecessori.
Oggi il Carlismo vive (e, a Dio piacendo, continuerà a vivere), ma, scrive del Molino, «attualmente ci sono ben tre partiti che si autoproclamano carlisti: la Comunión Tradicionalista Carlista, la Comunión Tradicionalista e il Partido Carlista».
La cosiddetta “Comunión Tradicionalista Carlista” e il Partido Carlista sono forze progressiste, frutto di quella che del Molino chiama «una delle capriole ideologiche più sconcertanti della storia delle idee», e i loro appartenenti vengono considerati “pseudocarlisti” dalla Comunión Tradicionalista (cfr. Melchor Ferrer, Breve storia del Carlismo, Collana di Studi Carlisti, Solfanelli, Chieti 2020), che si riconosce nel monarca legittimo S.A.R. Don Sixto Enrique de Borbón. Per quanto ne dica il giornalista, però, la Comunión Tradicionalista non è e non si considera un partito, bensì una comunità, una famiglia unita da un obiettivo concreto.
Va inoltre aggiunto che l’edizione del 1979 dell’opuscolo carlista Ideario di Jaime del Burgo Torres (1912-2015) riporta in copertina l’indicazione “Comunione Tradizionalista Carlista”, che prova come tale denominazione fosse già usata da Don Sisto negli anni Settanta e non sia nata con una fantomatica «riunione di vari gruppi» tenutasi nel 1986... (cfr. https://carlismo.es/ideario-por-jaime-del-burgo/)
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Purtroppo, con sgradevole faciloneria, del Molino paragona le lotte dei carlisti al jihadismo musulmano, e così facendo mostra di non capire nulla. Il Carlismo non è un esercito di fragili fanatici che ostracizzano chiunque gli risulti sospetto: «il carlismo diffuso crea personaggi forti e senza complessi, che sanno cavarsela nel mondo senza snobismi o invidia di classe», lo afferma lo stesso giornalista.
Maometto fece uccidere Kaab Ibn al-Ashraf, un poeta ebreo medinese, poiché fu autore di un poema critico verso il sedicente “portalettere” di Allah. Come scrive l’accademico egiziano Mark A. Gabriel: «[Muḥammad] assassinò un capo ebreo di nome Kaab Ibn al-Ashraf, per aver parlato contro di lui; la cosa sconvolse sia i giudei a Medina che gli adoratori di idoli alla Mecca. Fu la prima volta che Maometto utilizzò l’assassinio. In quell’anno [il 625 d.C.] mandò a fare altre tre incursioni» (Gesù e Maometto, 2004). I poeti erano la memoria storica delle tribù dell’Arabia e si opponevano alla conquista che Maometto aveva pianificato, il Corano recita infatti: «Vi informerò forse su chi scendono i demoni? Scendono su ogni impostore carico di peccati e comunicano ciò che hanno sentito, ma la maggior parte sono dei mentitori. E i poeti!... i fuorviati li seguono.» (26a sura, 221-224), così furono tollerati solo quei poeti che accettarono di sottomettersi completamente alle nuove dottrine islamiche (ivi, 227).
Indubbiamente Valle-Inclán pubblicò romanzi e opere che trasmettono un’idea eterodossa del Carlismo, raggiungendo in certe pagine il disfattismo e l’assurdismo, offrendo inoltre un’immagine non propriamente celebrativa della famiglia reale proscritta. Si ha l’impressione che per Valle le guerre carliste siano riassumibili nel rifiuto dello stato liberale, che si esprime nell’avventura di un idealista aristocratico (cattolico, ma grande peccatore) che affronta la vita come un gioco di contraddizioni, rincorrendo i suoi fantasmi.
Ciononostante, il tradizionalismo non ha mai chiuso le sue porte in faccia all’intellettuale in questione. Anche dopo la Grande Guerra, quando Valle-Inclán si spostò su posizioni decisamente estranee alla tradizione politica ispanica, il suo legame ideologico/affettivo con il Carlismo sopravvisse e nel 1931 il re legittimo Don Jaime (Giacomo III, 1870-1931) gli conferì la più alta onorificenza carlista: la Croce della Legittimità Proscritta. Lo scrittore accettò come un onore quella decorazione e se Giacomo III ha agito così, nessuno può contestare la sua decisione: «Il cuore dei re è un canale d’acqua in mano al Signore» (Proverbi 21,1).
Don Jaime trovava semplicemente che i romanzi di Valle-Inclán (per quanto spregiudicati) fossero artisticamente piacevoli, e ancora oggi i carlisti li leggono, perché sono appunto persone forti e senza complessi: guardano alle avversità quotidiane con un sorriso, poiché credere sinceramente in un’idea non fa mai perdere il senso dell’umorismo e quello del limite.
Nessuno ha dimenticato di quando nel marzo del 2001 il clero musulmano e la corte suprema dell’emirato dell’Afghanistan decretarono la distruzione di tutte le statue del paese asiatico e di quando, nell’estate del 2015, l’ISIS devastò Palmira. Ed è una vergogna associare il jihadismo al Carlismo anche perché questo significa dimenticare che la Spagna deve il magnifico Museo de Cerralbo alla donazione dell’aristocratico carlista Enrique de Aguilera y Gamboa (1845-1922), archeologo e collezionista che ha lasciato in eredità un patrimonio preziosissimo a tutti i suoi compatrioti.
Esistono oltraggiose caricature liberali ottocentesche che rappresentano i carlisti come dei predoni arabi, ma ai giorni nostri dobbiamo riconoscere che proprio è per “merito” del liberalismo se l’islamismo e i terroristi musulmani sono potuti penetrare in Spagna mettendo a segno atroci attentati.
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In ogni caso, nell’interpretazione data nel libro di cui stiamo trattando il Carlismo è essenzialmente visto come “roba da provinciali”.
Ben venga il giusto richiamo alla purezza della fede contadina. La Genesi racconta di Babele e di come gli esseri umani si corruppero quando costruirono la grande città, e nel Vangelo di Matteo (2,6) è scritto: «tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». Gesù, un uomo della Galilea, andò contro i mercanti del tempio di Gerusalemme, e “Nazareni” o “Nazorei” era il nome adoperato dagli ebrei per denigrare i primi cristiani, poiché Nazareth era ai loro occhi una città insignificante: una zona depressa agli occhi degli opulenti Gerosolimitani. Il sacerdote veneto Andrea Scotton (1838-1915) predicava che «i campagnoli sono gli uomini eletti da Dio a consolare la Chiesa», ma il Carlismo non è solo regionalismo e conservazione delle lingue locali, c’è molto di più da studiare e da capire.
Come si è cercato di sintetizzare, La Spagna vuota contiene delle riflessioni che un tradizionalista non può accettare, ciò non toglie che il volume abbia almeno il pregio di riconoscere il peso culturale, sociale, artistico e letterario del Carlismo nella piena comprensione della realtà contemporanea delle Spagne.
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