In più, nel romanzo, le forme artistiche (come il cinema e la letteratura stessa) diventano strumenti per spiegare fatti storici (da grandi movimenti politici a tristi fatti criminosi).
I racconti, intersecati da un fil rouge, spaziano dal massacro del Circeo alle spedizioni punitive del Mossad, dalla descrizione ucronica della morte di Mussolini ai delitti di un omicida seriale motivato dal desiderio di fare una personale “pulizia morale” nel mondo politico-amministrativo, fino a immaginare cosa sarebbe accaduto se fosse riuscito un attentato a Hitler nel maggio 1938.
La scelta di utilizzare la forma-romanzo per comunicare concetti politici va forse letta proprio nella intenzione di popolarizzare concetti altrimenti relegati alla didattica, così raggiungendo un più ampio numero di destinatari, pur senza rinunciare a inserire nel testo una evidente ricchezza di conoscenze, che costituisce comunque un continuo e incalzante stimolo che accompagna qualsiasi lettore a investigare sugli autori, sui fatti, sulle opere e sui personaggi citati. Dunque, pur se le tematiche trattate potrebbero prima facie sembrare inconciliabili con letture da intrattenimento, l’abilità descrittiva dell’Autore, le trame che garantiscono finali inattesi e il ritmo della narrazione, assicurano l’ampliamento della platea del pubblico destinatario del testo rispetto a quella che potrebbe essere interessata all’approfondimento dei temi citati, che certamente non è esclusa.
Le storie trattate costituiscono l’occasione per affrontare tematiche varie: il predominio del pensiero unico e l’egemonia culturale della Sinistra, il superamento dell’ideologia fascista e neofascista da parte dei suoi stessi sostenitori, un sistema elettorale che permetta una migliore rappresentanza popolare, l’abbattimento del preconcetto per cui tutto ciò che viene dal passato sia obsoleto e da rigettare, la quasi totale inattendibilità delle notizie fornite dai media in relazione agli eventi. Tutte le tematiche – anche grazie a percorsi che forniscono un’altra versione della Storia – potrebbero intendersi accomunate dalla lontananza della Verità dalle verità di Stato o dalle verità di Stampa, che si esauriscono nella esteriorizzazione della ragion di Stato o della ragion di Stampa, certamente funzionali al raggiungimento di scopi non sempre coincidenti con quelli di coloro che ricercano la Verità.
Affiorano, quindi, interferenze e condizionamenti nei rapporti esistenti tra politica, diritto e cultura, criticati nella misura in cui, non senza esemplificazione, si fanno promotori del progresso, inteso come dovere di accettare, e anzi ricercare, un incessante cambiamento come valore. In quest’ottica si ripropone anche la lettura della Storia intesa appunto come susseguirsi di eventi politici, giuridici, culturali: siamo certi che il cambiamento, il “progresso”, sia sempre portatore di miglioramenti?
Per quanto attiene alla politica, considerata dall’Autore senza sottrarla dal binomio politica-morale, dare una risposta all’interrogativo appena posto significherebbe innanzitutto interrogarsi sulla democrazia e sulla nostra Costituzione. Colpiscono le questioni afferenti agli argomenti appena citati contenute nel testo, come la attuale percezione del concetto di democrazia o le conseguenze derivanti dall’assenza del vincolo di mandato, che sono accostate a questioni di grande attualità come l’utilizzo strumentale del linguaggio da parte della politica e la retorica dell’impegno politico, certamente responsabile dell’allontanamento del cittadino dalla partecipazione alla politica, anche attraverso la rinuncia all’esercizio del diritto di voto.
Che, a dispetto della semantica, l’aggettivo democratico divenga sinonimo di garbato, dai modi gentili, è innegabile. Ma davvero è il frutto di una costruzione del linguaggio avente uno scopo ideologico operata dai sostenitori della democrazia? Che effettivamente gli esponenti politici ingannino in qualche modo gli elettori illustrando in campagna elettorale programmi puntualmente disattesi è evidente (ma le cause sono solo quelle indicate nel romanzo?).
Anche il diritto sembra disattendere il suo fine ultimo, ossia quello di tendere, al pari della politica, al bene comune. Ciò accade soprattutto grazie alla mediaticità dei processi, il cui esito diventa in qualche modo condizionato – o quantomeno condizionabile – dalle aspettative della collettività (aspettative peraltro manipolate dalla costruzione della informazione mediatica).
La questione della validità dei giudizi, inevitabilmente, si connette alla questione della validità delle fonti dalle quali si attingono le informazioni. In questo senso – e coerentemente al pensiero dell’ispiratore del romanzo – il progressismo, inteso non solo come progressivo abbandono della identità culturale e antropologica, diventa il responsabile di una crescente sostituzione delle fonti utilizzate per la formazione della conoscenza (e) dell’individuo.
Innegabilmente, ogni individuo partecipa alla formazione del pensiero collettivo che caratterizza la società di cui fa parte; parimenti, ogni individuo non può non essere condizionato nella formazione del proprio pensiero dal pensiero dominante. Tale circolarità ricorre anche nel romanzo, che termina (quasi) da dove era iniziato, anche se lascia intravvedere una speranzosa via di uscita.
E soprattutto il lettore, anche se non aderirà necessariamente alle idee politiche dell’Autore, maturerà la consapevolezza di potersi imbattere, nella ricerca della Verità – o nella verità già nota – nei «pieni copiati» e nei «vuoti riempiti» tipici della disinformazione.
Rosa Carnevale
Gianandrea de Antonellis
In morte degli Italiani
Idrovolante Edizioni
Alatri (FR) 2024
p. 250, € 17
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