La figura di Francesco Saverio Anfora (1833-1871) – figlio del Duca di Licignano, combattente a Gaeta (dove raggiunse il grado di tenente colonnello) e poi ritiratosi dalla vita militare, rinunciando all’allettante offerta di entrare nell’esercito degli Italiani, rivoltogli dal generale Cialdini in persona, favorevolmente colpito dalle sue memorie – è al centro di questo interessante saggio romanzato Domenico Anfora che ricostruisce la vita di uno degli eroi di Gaeta attraverso numerosi documenti e una descrizione dell’epoca (il saggio in totale assomma 215 note, tra esplicative e bibliografiche), concedendosi costantemente la licenza poetica di inserire (in carattere che ben distingue simili passaggi) la ricostruzione dei pensieri del protagonista.
In tal modo, quella che poteva essere una asciutta (e un po’ fredda) biografia si trasforma in una narrazione che alle vicende della caduta del Regno affianca la breve e quasi parallela esistenza di Francesco Saverio, stroncato dal vaiolo a meno di quarant’anni, allievo della Nunziatella, quindi militare sotto il comando di Alessandro Nunziante, rimasto però (a differenza del suo generale) fedele al Re e quindi partecipe della battaglia sul Volturno e dell’assedio di Gaeta.
Dopo la prigionia, come accennato, Francesco Saverio Anfora preferì lasciare la carriera militare e, divenuto ingegnere, si dedicò, oltre che alla professione, alla carità verso i bisognosi, nonché a qualche (anch’essa sfortunata) avventura amorosa. La morte lo colse mentre si trovava in Basilicata per studiare il restauro di un castello della famiglia Riario Sforza, di cui era amico.
Le divagazioni intime (gli amori con la contadinella Assuntina, con l’attrice milanese Luisa, con la nobildonna infelicemente sposata Carla) rendono più scorrevole la lettura e volgono verso il romanzesco; la presenza di documenti, trascritti o riprodotti fotograficamente, riporta il lettore al livello saggistico e a considerazioni storico-politiche, prima fra tutte il giudizio negativo sulla “rivoluzione italiana”, ovvero sul risorgimento, fautore di sconvolgimenti e di ferite che la tanto strombazzata unità (o meglio, la retorica relativa ai pretesi benefici di detta unità) non riesce certo a guarire. Non vi riuscì allora e non vi riesce nemmeno adesso, a oltre un secolo e mezzo di distanza.
Nella Napoli ridotta da capitale a città di provincia, Francesco Saverio presente quasi la propria fine: in termini di desiderio di vivere, la nuova situazione lo ha reso un pesce fuor d’acqua, conscio di non potersi più reinserire nella società che è irrimediabilmente mutata.
In fondo, l’ultimo dei suoi amori, quello con Carla, sembra ripercorrere a livello familiare le vicende politiche regnicole: il loro matrimonio è impossibile, perché la donna è stata già “venduta” dai parenti a un ricco e volgare mercante, onde risollevare la posizione economica del casato dopo l’avvento degli Italiani. Così Francesco Saverio sente di non poter raggiungere la felicità coniugale e, nonostante un’accorata lettera di Carla, parte ugualmente per la Basilicata. E quando si renderà conto di essere irrimediabilmente malato, il primo pensiero dell’uomo sarà quello di chiedere un prete e di prepararsi al trapasso, dimenticando del tutto le importanti notizie che, al momento di lasciare Napoli, l’amata gli aveva scritto di dovergli urgentemente riferire.
Intanto, mentre la vita di Franceso Saverio si spegne nel senso della fedeltà al Trono e all’Altare, il fratello maggiore Giuseppe, titolare del ducato, console a New York del Regno delle Due Sicilie, anziché dimettersi o rappresentare il Re in esilio, non trova affatto sconveniente accettare il tricolore, far carriera e diventare, col tempo, ambasciatore in Argentina… Diverse visioni del mondo che dividono una famiglia, come – per necessaria conseguenza – a livello più alto dividono il Regno d’Italia fin dalla sua nascita.
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