ovvero
Il progressismo ha perso la guerra e prova a rifarsi col cinema
Il film è ambientato in una ex località mineraria dell’Inghilterra settentrionale – una cittadina in pieno declino economico che si trascina dietro un prevedibile carico di disagio sociale – e si concentra sui tentativi del proprietario dell’Old Oak, l’ultimo pub rimasto in paese, di mantenere aperto questo luogo di ritrovo. Lo sceneggiatore cerca di raccontarci la vita di un microcosmo, introducendoci nelle vicende di bevitori di birra che tifano per la squadra di calcio locale e di un pub che, in buona sostanza, funge quasi da sala municipale per riunioni di cittadini. In qualche scena si vedono pugni chiusi e alzati, un po’ di laburismo putrefatto.
I fatti narrati hanno luogo nel 2016, quando nel mondo della cultura progressista si faceva a gara a chi sfoggiava l’anti-trumpismo più ostentato e in Siria le forze russe avevano già da mesi iniziato una massiccia campagna aerea contro i gruppi di ribelli islamisti, consentendo ad Assad di recuperare delle aree chiave per avere il controllo del Paese. Ricordiamo che Aleppo fu presa sul finire di quell’anno.
Chi scrive ricorda un episodio simpatico accadutogli nel 2016 e che, in fondo, si lega alla trama del film: una domenica, sul sagrato di una chiesa, un uomo che si presentava come un cattolico in fuga dalla Siria chiedeva del denaro ai passanti. Lo scrivente, commosso, gli chiese il suo nome e questi disse di chiamarsi Mustafa (un cristiano che ha per nome uno degli epiteti di Maometto? bizzarro!), tuttavia dopo che allo straniero venne consigliato di entrare in chiesa per la messa e di chiedere aiuto al parroco al termine delle celebrazioni, il presunto profugo si ritirò istantaneamente (come se tutti i suoi problemi fossero spariti...).
In The Old Oak il tema del conflitto tra gli abitanti dell’Inghilterra “profonda” e post mineraria e i rifugiati siriani appena arrivati in città è trattato con i toni più stereotipici che si possano immaginare. La relazione amichevole tra il proprietario del pub, TJ, e Yara, una rifugiata siriana completamente “occidentalizzata”, manca di qualsiasi profondità e non ha alcuna parvenza di sviluppo. Invece di esplorare le sfumature complesse della convivenza forzata tra comunità differenti (e forse inconciliabili), il film sembra utilizzare questo tema come prevedibile espediente per veicolare messaggi politici di scarso livello: cibo precotto valido solo per nutrire i progressisti di mezza età (un pubblico notoriamente di bocca buona, poco propenso a criticare ciò che conferma le sue idee).
Forse è anche interessante notare come l’uso di facebook sia ricostruito in modo completamente irrealistico, aspetto che per altro si riscontra anche in varie pellicole recenti, come ad esempio The Whale (2022) di Darren Aronofsky. Davvero i registi anglosassoni non riescono a riprodurre con una qualche credibilità le comuni modalità di interazione tramite strumenti telematici?
Riguardo The Old Oak, la poca cura di ciò che non dovrebbe essere un dettaglio trascurabile potrebbe rivelarci che lo scopo dell’opera – ovvero ciò su cui si dovrebbe aver mostrato un minimo di attenzione – è un altro.
Ma vi è poco da “svelare”: non vi è nessun velo. The Old Oak cade nella trappola di un sentimentalismo deamicisiano, con episodi poco credibili anche per una lezione di educazione civica alle scuole elementari. Se Loach dipinge le reti sociali come cloache di bullismo e ritrovi di estremisti è perché ha compreso il crescente peso che questi strumenti hanno assunto: strutturalmente i social non possono essere monopolizzati dal pensiero progressista imperante nel cosiddetto “Occidente”.
Tutto ciò che resta del film è la propaganda contro il regime di Assad: l’unico contenuto che tiene insieme un racconto zoppicante. 113 minuti di immagini si possono riassumere con poche parole: gli immigrati arrivano in un villaggio inglese, l’oste locale cerca di aiutarli aprendo una mensa gratuita nella sua bettola e tutti diventano amici, poi alcuni suoi ingrati concittadini, infastiditi dalla solidarietà verso i forestieri, danneggiano la struttura portandola alla chiusura: alla fine, durante una processione religiosa, sfilano insieme ex minatori (ex) anglicani secolarizzati e maomettani. Non è il caso di dilungarsi su altri elementi. Tutto finisce bene, senza nemmeno un musulmano che si lamenti per il cibo non halal che gli viene offerto, senza nessuna protesta per il prolungato contatto degli ospiti della mensa con bevande alcoliche. Insomma, non c’è nemmeno l’ombra di un’incomprensione: gli unici che creano problemi sono un gruppuscolo di hooligans illetterati. Nella traduzione italiana dei dialoghi non poteva ovviamente mancare la battuta “non sono razzista ma...”, che da anni tiene botta nei monologhi piddini e parapiddini.
Tornando alla Siria, ricordiamo che risale al 2018 il famoso messaggio di Luciana Litizzetto: «Hassad [sic!] sta usando armi chimiche sui civili, e soprattutto sui bambini. Il gas uccide le persone facendole soffocare con la loro saliva. Le armi chimiche sono vietate da quasi 100 anni ma nella guerra in Siria continuano ad utilizzarle. Un giovane e tostissimo blogger siriano di 15 anni [sic] [...] sta gridando aiuto e sta denunciando da mesi quello che succede». Oggi per alcuni saltimbanchi The Old Oak deve apparire come una bella rivincita contro un politico di cui non sono neppure in grado di scrivere correttamente il nome.
Il progressismo ha perso la guerra e prova a rifarsi al cinema. Nel prossimo futuro il copione è destinato a ripetersi per altri scenari?
Ciro Cardin-Pasqual
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