Celebriamo la nascita del Bambin Gesù con il presepe ed i canti della tradizione natalizia
Il termine italiano “Natale” deriva dal latino diem natalem Christi; la sua prima traccia risale al Commentario su Daniele di Sant’Ippolito di Roma, datato agli anni 203 – 204. Mentre per la data del 25 dicembre quale menzione certa per la Natività di Cristo, la prima traccia risale all’anno 336; la si riscontra nel Chronographus redatto intorno alla metà del IV secolo dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo e fu fissata per ricordare la nascita di Gesù Bambino in una stalla di Betlemme, in Palestina.
Nel 1223 San Francesco d’Assisi, su ispirazione divina, lanciò il “presepe vivente” a Greggio per mostrare al popolo la ricostruzione figurativa della natività di Gesù. Dal presepe vivente, per ricordare il sacro evento, si passò più tardi al presepe artigianale con personaggi, detti “pastori”, realizzati in legno, in terracotta o in cartapesta.
Col tempo, la costruzione del presepe divenne una tradizione particolarmente radicata nella Cristianità. Contemporaneamente, l’usanza di allestire il presepe in casa, nata nella penisola italiana, si diffuse rapidamente in tutti i Paesi cattolici del mondo.
Nella tradizione cristiana, il Natale celebra la nascita di Gesù a Betlemme da Maria. Il racconto storico è suffragato dai Vangeli secondo Luca e Matteo che narrano l’annuncio dell’arcangelo Gabriele, la deposizione nella mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la visita dei magi.
Il significato cristiano della festa risiede nella celebrazione della presenza di Dio che, con la nascita di Gesù, non è più un Dio distante, divenendo un Dio che si rivela ed entra nel mondo per rimanervi fino alla fine dei tempi.
Nel corso del “secolo breve” che ci siamo lasciati alle spalle, l’Occidente ha vissuto l’epoca della secolarizzazione e ciò ha riguardato in modo particolare l’Europa settentrionale. Per questo mondo, il Natale ha continuato a rappresentare un giorno di festa anche per i non cristiani, ma ha assunto significati diversi da quello religioso. Questo nuovo modo di interpretare il Natale si è andato imponendo ovunque per trasformare l’avvenimento in festa legata alla famiglia (in senso lato), alla solidarietà e alla figura di Babbo Natale. Il tutto finalizzato al consumistico scambio dei doni.
Sempre nel “secolo breve”, l’Europa politica, radicalmente impregnata di spirito anticristiano, per le sue radici di stampo illuministico e laicistico, ha incoraggiato l’albero/cono di Natale allo scopo di sostituirlo al presepe un po’ ovunque.
L’albero di Natale, la cui esistenza è datata nel mondo tedesco sin dal XVI secolo, sulla base di preesistenti tradizioni pagane, è di solito un abete (o altra conifera sempreverde) addobbato con piccoli oggetti colorati (soprattutto palle di diversi colori), luci, festoni, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro che non ricordano in niente la Natività Divina.
In questa “Europa politica” non c’è più spazio per celebrare il Santo Natale. Ce ne siamo accorti. Ma non ci lasciamo intimorire dalla nuova moda, frutto della Modernità. La quale ha posto alla base del suo progetto ideologico il successo individuale, anteponendolo a quel valore che per secoli aveva caratterizzato socialmente la Cristianità: la Carità.
La Modernità ha messo in dubbio i principii eterni e la verità rivelata, poiché vuole regnare in nome del divenire, un eterno divenire, sempre irraggiungibile. È un mostro degenere che afferma il raggiungimento umano della maturità per negare allo stesso uomo di essere figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza.
Di conseguenza, il Natale ha assunto, per lo meno in quella che chiamiamo sbrigativamente “civiltà occidentale” un significato laico sempre maggiore, legato principalmente se non essenzialmente allo scambio di doni.
Respingiamo con decisione i tristi prodotti della Modernità e ricominciamo la nostra esistenza dalla nascita di Colui che è venuto a salvarci: il bambinello Gesù. Con questo proposito, desideriamo soffermarci sulla grande festività cristiana.
Nei Paesi che conservano la consuetudine natalizia cristiana, durante la prima settimana di dicembre, di solito alla festa dell’Immacolata, si allestisce il Presepe per poi smontarlo nei giorni successivi all’Epifania. Il presepe rievoca la storia sacra.
Gesù che nasce a Betlemme, in una grotta, non è favola. È storia reale. Gesù è il Re dei Re. Non solo perché è il Creatore, il Re Divino. Lo è anche umanamente. Perché nasce dalla Vergine Maria, di stirpe reale appartenendo alla discendenza di Re Davide, come il suo sposo e padre putativo di Gesù.
Il presepe rievoca il tempo in cui nacque il Bambinello e ci fa conoscere coloro che lo salutarono per primi: i pastori, umili custodi di un gregge di pecore. In omaggio al primato dei pastori, tutti i personaggi anonimi presenti nella scena presepiale hanno preso il nome di Pastori.
Nel corso dei secoli le tradizioni natalizie si sono arricchite di canti che la notte di Natale accompagnano la celebrazione della Santa Messa di Mezzanotte, divenendo subito patrimonio universale dei cattolici, a prescindere dalla lingua originaria nella quale sono nati. Tra i più significativi, desideriamo soffermare l’attenzione di chi legge sui tre canti più diffusi dalla tradizione canora dei vari angoli della Cristianità.
“Tu scendi dalle stelle” è la composizione settecentesca realizzata da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, la cui prima edizione fu in lingua napoletana.
“Adeste Fideles” (O venite tutti voi fedeli) è il canto della tradizione musicale cattolica Irlandese che appare a metà del XVIII secolo.
“Stille nacht, heilige nachtt” (Notte silenziosa, notte santa) è il canto natalizio che ci viene dalla tradizione austriaca, anch’esso, celebre in tutto il mondo.
È superfluo, ma sempre importante aggiungere, che il protestantesimo ha cercato di abbattere la popolarità di questi tre canti natalizi.
Ed anche per questo motivo, proviamo a conoscerli un po’ più da vicino.
“Tu scendi dalle stelle” fu composto nel dicembre 1754 dal vescovo sant’Alfonso Maria de Liguori in lingua napoletana (Quanno nascette Ninno) e successivamente trasposto in versione italiana. Per ciò che concerne il luogo di composizione, esistono due differenti versioni: la prima vuole che il canto sia stato composto nel convento della Consolazione di Deliceto (in provincia di Foggia), mentre la seconda fa riferimento alla casa di don Michele Zamparello a Nola (Napoli) in cui il santo si recò per un ciclo di predicazioni. Questa canto fu chiamato anche “Pastorale” per la melodia legata principalmente al suono della zampogna dei pastori abruzzesi durante la transumanza. Il canto è composto da sette strofe che, con parole semplici, raccolgono insieme tre tradizioni: il racconto della storia della nascita di Gesù; molta pietà, tenerezza e devozione popolare a questo bambino; infine la teologia, ove si spiega che questo bambino è nato in vista della propria morte in croce per la nostra salvezza e, al tempo stesso, ci fa capire che il Bambinello non è stato tanto amato come Lui invece ci ha amato.
“Adeste Fideles” è un canto natalizio dalla paternità incerta. La leggenda ne attribuisce l’origine a San Bonaventura. Più realisticamente, il testo viene accostato alla persona del suo copista, Sir Francis Wade, un religioso cattolico irlandese che viveva in Francia. Fu la mano paziente di Sir Wade a trasmettere il testo del canto salvandolo dall’oblio, per renderlo improvvisamente popolare. Sir Francis Wade lo avrebbe trascritto da un tema popolare irlandese nel 1743 – 44 per l’uso di un coro cattolico a Dova, cittadina nel nord della Francia, al tempo importante centro cattolico di rifugio per i cattolici irlandesi perseguitati dai protestanti delle isole di Gran Bretagna e Irlanda. Il testo del canto è costituito da otto strofe di cui solo la I, V, VI e VII furono trascritte da Wade. Le strofe II, III e IV vennero composte dal vescovo cattolico francese Etienne – Jean – François Borderis nel 1794 e l’VIII da un anonimo.
“Stille nacht, heilige nacht” ha una gestazione più complessa. Le parole furono scritte nel 1816 dal sacerdote salisburghese Joseph Mohr che restò in attesa di qualcuno che componesse la musica. In quello stesso anno, i versi furono letti in chiesa per ricordare le sofferenze subite dall’Austria nel corso delle guerre napoleoniche che avevano portato ovunque devastazioni e miseria. Quei versi costituivano un conforto ed la speranza di un futuro migliore tra la popolazione prostrata. Due anni dopo fu trovato il musicista: era il maestro elementare Franz Xaver Gruber, allora insegnante ad Arnsdorf ed organista a Oberndorf. La prima esecuzione pubblica avvenne la stessa vigilia di Natale del 1818 durante la messa di mezzanotte nella chiesa di San Nicola ad Oberndorf. Lo spartito piacque e venne preso da Karl Mauracher, fabbricante di organi della Zillertall, che lo portò e diffuse in Tirolo. In questa regione erano molti gli artigiani che si mettevano in viaggio verso le valli vicine per commercializzare i manufatti di loro produzione. Essi diffusero le note di Stille Nacht. E le famiglie Strasser e Rainer fecero conoscere la melodia natalizia del Gruber in tutta Europa e successivamente nel resto del mondo.
Tutto ciò costituisce il nostro patrimonio natalizio. Religioso, culturale e storico. Ne dobbiamo essere consapevoli e, al tempo stesso, orgogliosi. È l’eredità della Chiesa di sempre che dobbiamo trasmettere ai cattolici del futuro.
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