Il componimento che pubblichiamo oggi è invece tratto dalla sua raccolta Poesie (pp. 54-56), edita dalla tipografia Merlo di Venezia nel 1870, e affronta un tema ancora oggi dolente: quello della corruzione dei sacerdoti.
Sapere che nell’Ottocento – in mezzo alle turbe risorgimentali – la situazione dei cattivi pastori non era diversa rispetto a oggi non ci è di consolazione, ma deve farci riflettere.
Nella Prima lettera ai Corinzi (16, 11) si legge: “Nessuno dunque gli manchi di rispetto; al contrario, congedatelo in pace perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli.”; De Besi ebbe sempre rispetto per i sacerdoti e per gli uomini e pregò affinché si convertissero, così dobbiamo fare anche noi – compiendo testardamente il nostro dovere – nella speranza che la realtà cambi.
Riccardo Pasqualin
Il prete apostata
Immolavi tremante al gran Fattore
Sovra mistica mensa
Prostrato a piè dell’ara era pur io
Ne la medesma chiesa; e sconsolato
Pianto spremea su giovenil peccato
Perdon chiedendo a Dio.
L’angelo mio tu mi sembravi allora
Che meco a quel Signor ch’in tue man era
Per me porgesse fervida preghiera
Che ottiene quel ch’implora.
E da quel dì, per te, novel levita,
Provai nel core arcana simpatia;
E mi parea che amor la vita mia
Legasse a la tua vita.
Ma sorse un giorno che più te non vidi
E piansi...seppi che crudel sventura
T’avea cacciato dalle patrie mura
A maledetti lidi.
Per te pregai come per mio fratello;
E nel dolore sospirava il giorno
Che mi segnasse alfin il tuo ritorno
Al tuo paterno ostello.
Passar molt’anni e udii ch’il sacro giuro
Che ti legava a Dio, spezzasti folle,
Ch’eri a donna venduta e turpe e molle
Stretto con nodo impuro!
Che dal tuo labbro uscìen protervi detti
Blasfemi in onta al ciel; ch’empia dottrina
Tu bandivi dell’anime a ruina...
Inorridii, fremetti!
E menzogna gridai, turpe menzoga,
Che sperda il cielo, è questa! Ah no, l’amico
Caduto, ah no, non è, ei sì pudico,
Sì pio, in tanta fogna.
Fosse durato ognor il dolce inganno!...
Ch’ancor amico mio ti chiamerei
Né confitta nel cor la spina avrei
D’un altro disinganno!...
Ma io pur ti vidi e udii menar iroso
Vampo e empio dell’error che ti ottenèbra,
E alla luce del ver la tua palpebra
Chiudere disdegnoso;
E irrider folle a ciò che veneravi:
Con sacrilega man stracciar del tempio
I sacri veli e farne orribil scempio
Tra gl’iniqui e gl’ignavi.
Ma dimmi: forse un pläudir tu speri
Da turpe folle in orgie consumata?...
Oh misero, l’infamia t’è serbata
Dei novatori alteri.
La maledizïon del ciel ti rugge
Terribile sul capo e in un momento
Polve esecrata può sperderti al vento
Che dintorno ti mugge.
Fratel, che non mi vieta Iddio pietoso
Sì nomarti, fratel, sorgi una volta
Dal lezzo e la mia voce amica ascolta
Se vuoi pace e riposo.
Torna pentito a piè di quella croce
Che bestemmiando irridi e in un calpesti,
Del pentimento il rude saio vesti
E pianto sia tua voce.
Pianto del cor su tuoi passati errori
Sul tuo spergiuro, che ti mondi e lavi
Di tue peccata, degli affetti pravi,
E che perdono implori.
Oh come è bello del pentito il pianto!
Come grazie appo Dio benigno trova!
E veste di fulgente stola e nova
Chi travïò pur tanto.
Padova, 17 gennaio 1867
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