Le menzogne sul cambiamento climatico
Il cambiamento climatico rappresenta l’ultima battaglia, in ordine di tempo, dell’estremismo ambientalista il quale non permette il dissenso sul tema. Non a caso è giunto a chiedere l’introduzione di un reato specifico che dovrebbe punire i negazionisti del cambiamento climatico, come ha sostenuto il professore associato di filosofia politica della LUISS, Gianfranco Pellegrino, che vorrebbe trasformare il negazionismo climatico in reato (Il Domani, 27/05/2023).
Inutilmente, il premio Nobel per la fisica del 2022 John Clauser ha affermato che la narrativa corrente sul cambiamento climatico costituisce una pericolosa corruzione della scienza che minaccia l’economia mondiale e il benessere di miliardi di persone. Lo stesso fisico ha aggiunto: «La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica. A sua volta, se ne è fatto il capro espiatorio di una miriade di mali non correlati».
Non serve a niente leggere il parere di altri istituti internazionali preposti al controllo del clima i quali sostengono che c’è inconsistenza dei dati e limitata evidenza che ci sia un contributo umano alla situazione climatica (IPEC, Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico).
Ciò ci induce a sostenere che il dibattito sul tema del cambiamento climatico non è più scientifico, ma politico e filosofico. È stata attivata la fabbrica del conformismo ideologico che deve omologare a tutti i costi l’orientamento del pensiero, spingendo, relegando nel ghetto del negazionismo chi non si adegua e non accetta la vulgata conformista. Questo conformismo si appella alla scienza che usa come un corpo contundente ai fini dogmatici. E, curiosamente, i sostenitori del riscaldamento climatico che si appellano alla scienza, non sono scienziati, non sono dei climatologi ma dei giornalisti o tutt’al più dei docenti di scienze politiche.
Se andiamo ad indagare sul dibattito in corso tra gli scienziati, troveremo nomi impensabili contro la tesi delle colpe umane per il riscaldamento climatico. Troviamo il prof. Antonino Zichichi, l’ingegner Roberto Vacca, l’ex presidente della società europea di fisica Renato Angelo Ricci, il prof. Franco Prodi, il prof. Alberto Prestininzi, l’ex vice-ministro Guido Possa, il prof. Enzo Pennetta, l’accademico dei Lincei Giuliano Panza, il prof. Aurelio Misiti, il presidente della società geologica italiana Uberto Crescenti, il prof. Emerito Paolo Blasi, il prof. Franco Battaglia. E rimaniamo soltanto in Italia. Se, invece, andiamo a seguire il dibattito su come affrontare i periodi di siccità o di alluvioni, che sono fenomeni periodici nella storia dell’umanità, proviamo un senso di profondo disagio nel leggere un comunicato emesso da Greenpeace il 22 marzo del corrente anno. In esso si legge: «Ridurre a monte i consumi idrici in agricoltura, rendendo prioritario l’uso di terreni ed acqua per la produzione di alimenti destinati al consumo umano diretto anziché alla filiera mangimistica o alla produzione di biocarburanti. Ridurre a monte la domanda mangimistica, riducendo gradualmente il numero degli animali allevati e adottando misure per incoraggiare l’adozione di diete a base principalmente vegetale». È un invito a diventare vegetariani. Ma sono soluzioni dettate dal fanatismo green, nelle quali soluzioni possiamo inserire anche il consumo di proteine sintetiche fatte in laboratorio o in alternativa a farine proteiche ricavate dagli insetti. Chi si oppone a queste scelte è definito un disinformatore.
Nel nostro Paese vi è una radicata opposizione alla realizzazione di opere infrastrutturali come la costruzione di vasche di contenimento per evitare o limitare i danni dell’acqua che straripa dai fiumi. L’acqua resta nella vasca di contenimento per la durata della piena e successivamente viene immessa nel fiume di provenienza. Questi progetti sono stati osteggiati dalle associazioni ambientaliste per «l’eccessivo impatto ambientale». Il colmo dell’ironia è stato offerto dal comitato “No vasche” del movimento ambientalista il quale nel citato comunicato ha categoricamente affermato: «Il cambiamento climatico innegabilmente in atto e la preoccupante siccità che colpisce la pianura padana rendono quest’opera oltremodo discutibile e fuori dal tempo».
Gli organi di comunicazione, i governanti ed i politici dell’Occidente hanno invece scelto la strada dell’allarmismo catastrofico, che ci sta condannando a misure politiche draconiane che «non avranno alcun impatto rilevabile sulle temperature mondiali, ma avranno un effetto disastroso sulla crescita economica e quindi sul benessere umano» (Hans Labhom).
L’utopica visione “verde” dell’U. E. è destinata a fallire e se non ci si ferma in tempo, il green deal porterà dritto a una mega crisi con inevitabile perdita di ricchezza e posti di lavoro, aumenti dei prezzi dell’energia, restrizioni draconiane alla libertà personale e il rigoroso indebolimento della proprietà privata.
La vulgata allarmistica si richiama alla scienza, a quella scienza di cui il premio Nobel Parisi sarebbe l’affidabile garante del cambiamento climatico realizzato dall’azione umana. Per contrappeso, vi è un altro premio Nobel per la fisica 2023, John F. Clauser, che è di parere opposto. Questo professore, inutile sottolinearlo, è stato immediatamente etichettato per negazionista. Egli smentisce le tesi del prof. Parisi sul clima e critica l’uso dei modelli nel clima, equiparati poco più che a pronostici da stregoni. Il prof. Clauser, intervistato da La Verità, il 21 maggio u. s., ha dichiarato: «La narrazione popolare sul cambiamento climatico riflette una pericolosa corruzione della scienza che minaccia l’economia mondiale e il benessere di miliardi di persone. La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica ad effetto choc. A sua volta, la pseudoscienza è promossa da altrettanto fuorvianti agenti di marketing, politici, giornalisti, agenzie governative e ambientalisti. Non c’è una vera crisi climatica».
Gli scienziati bollati con l’infamia di “negazionisti” che aderiscono al CLINTEL (organismo indipendente che riunisce 1500 scienziati di tutto il mondo) rivela che «il clima della terra è variato da quando il pianeta esiste, con fasi naturali fredde e calde. Pertanto non sorprende che ora stiamo vivendo un periodo di riscaldamento».
Possiamo concludere col dire che i pronostici formulati dall’IPEC si basano su modelli matematici. Non sono certezze e, perciò, dovrebbero essere utilizzati come tali. Ma subentra la politica, la quale se ne serve per imporre cambiamenti drastici alla popolazione.
Cosa fare dunque per restituire la natura al creato? Come l’uomo può contribuire alla bellezza che ci circonda? Cominciamo col suggerire, quale medicina possibile, una buona gestione del territorio.
Dott. Francesco Maurizio Di Giovine
Commendatore dell’Ordine della Legittimità Proscritta
Responsabile degli Incontri Tradizionalisti di Civitella del Tronto
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