Dall’inizio dell’ultima guerra nel Caucaso, in queste pagine abbiamo cercato – coi pochi mezzi a nostra disposizione – di informare i lettori sulla situazione degli Armeni, della Repubblica di Armenia e di quella dell’Artsakh.
Oggi, con dolore, cresce in noi la paura che potrebbe essere scritto l’ultimo capitolo di questa storia. Il 9 aprile, il ministro della difesa armeno Aram Torosyan ha annunciato che l’esercito del suo paese parteciperà alle esercitazioni militari statunitensi in Europa, comprese quelle nel Kosovo. Ed è stata l’ennesima – purtroppo dobbiamo ammetterlo – ambiguità nei confronti della Federazione Russa, unica forza che tutela l’equilibrio dell’Artsakh isolato e accerchiato dagli azeri.
L’11 aprile si sono registrati scontri a fuoco sul confine della Repubblica di Armenia, a causa degli ormai abituali sconfinamenti azeri che stanno erodendo il territorio di uno stato sovrano riconosciuto dalla comunità internazionale.
Ieri, 25 maggio, è terminato a Mosca un vertice tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, Vladimir Putin e il presidente azero Ilham Aliyev che hanno discusso dello sblocco dei trasporti interregionali e delle infrastrutture nel Caucaso meridionale. Sembra che Putin abbia parlato di una soluzione “nell’interesse di tutti”, ma i tre politici si sono allontanati dal tavolo delle trattative visibilmente poco distesi.
L’Iran, in cui gli armeni avevano riposto tante speranze, non è intervenuto in alcun modo su nessun fronte, e la mobilitazione del suo esercito si è rivelata pressappoco un’esercitazione o una prova di forza (inutile). L’Artsakh è stato abbandonato da tutti: dagli iraniani, dagli Stati Uniti, dalla stessa Armenia e non è dato a sapersi per quanto tempo i soldati russi si tratterranno nella regione. Il 21 dello scorso mese, in un comunicato, il presidente azero Aliyev ha fatto sapere agli armeni dell’Artsakh che dovranno scegliere tra andarsene e accettare la cittadinanza azera, ma l’assemblea nazionale dell’Artsakh ha risposto che non accetterà il riconoscimento del territorio della repubblica come parte dell’Azerbaigian, condannando anche le recenti dichiarazioni del presidente armeno Nikol Pashinyan, che si è mostrato aperto alle richieste azere, confermando le sue intenzioni nei riguardi della questione, nonché la volontà statunitense. Il 23 maggio, una delegazione del Regno Unito e una degli Stati Uniti, o meglio del dipartimento della difesa, rappresentato dagli ufficiali Keith Phillips e Patrick Pryor, si sono recate a Yerevan, proprio prima dell’incontro tra Pashinyan e Aliyev. In quell’occasione l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale armena ha confermato che i due rappresentanti americani sono giunti nel Caucaso per discutere di partenariato per la sicurezza.
Pashinyan è convinto di salvare così la Repubblica di Armenia, lasciando l’Artsakh al suo destino e imponendo al suo popolo le sue posizioni anti-russe e filo-occidentali.
Ciò che da tempo si presume è che la Russia non aiuterà oltre l’Armenia, le cui posizioni sono ormai difficilmente accettabili. Dal 1992 l’Armenia ha avuto diversi cedimenti verso l’orbita statunitense, credendo di poter trarre da ciò giovamento. Ma la realtà è che gli Stati Uniti non si sono messi e non si metteranno mai né contro l’Azerbaigian, né contro la Turchia, né contro Israele (paesi sostenitori di Baku), non gli è mai convenuto farlo.
Attualmente troppi attori coinvolti nel conflitto caucasico: Turchia, Russia, Iran e Arabia Saudita, sono interessati alla chiusura della crisi siriana e le economie di tutti questi paesi sembrano orientate all’integrazione nell’economia BRICS: eliminare “l’ostacolo” dell’Artsakh toglierebbe un elemento di tensione. Si prepara la tragedia dell’Artsakh? Non ci resta che pregare per chi rischia di perdere tutto il suo mondo.
Riccardo Pasqualin
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