Dalla francesizzazione del XVIII secolo all’europeizzazione del XX secolo: non vi è nulla di nuovo sotto il sole...
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Si, è proprio così. Non vi è nulla di nuovo sotto il sole. Il progetto è identico, come uguale è l’obiettivo: la distruzione di tutte le diversità. Le vicende politiche, sempre più vincolanti, provenienti dalla comunità europea, ci portano a riflettere sulla deriva di questa istituzione. Allora, chi ci salverà dalla autodistruzione prossima ventura?
Occorre riflettere sugli esempi che la storia ci consegna. Perché tutto ciò che stiamo vivendo oggi con l’europeizzazione a tutti i costi, si è già verificata in passato con l’età dell’assolutismo che volle francesizzare tutto ciò che toccò.
Cosa proporre, dunque, se non il ritorno ad una tradizione condivisibile?
Questa è la strada maestra che vogliamo percorrere, essendo eredi e discendenti dei popoli del regno di Napoli; di quel regno che fuse i suoi destini per secoli con le Spagne. Questa strada ci è stata ripetutamente indicata dal maestro di scienza politica don Francisco Elías de Tejada. La strada indicata prevede il ritorno ai Fueros, a quei privilegi o libertà municipali, che si opposero storicamente all’assolutismo introdotto dalla Francia e successivamente al liberalismo, anch’esso introdotto dall’estero.
Se ritorniamo ad osservare il ruolo che la Castiglia ebbe nei secoli, troveremo i motivi per cui essa aveva alzato il vessillo di una missione universale ed antieuropea.
La francesizzazione anche dell’Aragona sotto l’alibi della sua castiglianizzazione portò il nostro don Francisco Elías de Tejada a definire Filippo d’Angiò “europeo regnante in Castiglia”, riportandone il pensiero europeizzante: «Ho giudicato conveniente sia per ciò, sia per il mio desiderio di ridurre tutti i miei regni di Spagna all’uniformità di leggi, usi, costumanze, e tribunali, governandosi tutti ugualmente con le leggi castigliane, tanto lodevoli e sensate in tutto l’universo, abolire e derogare completamente, come d’altro lato do per aboliti e derogati, tutti i suddetti “fueros”, privilegi, pratiche e costumi finora osservati in detti regni di Aragona e Valenza: essendo mio volere che questi siano ridotti alle leggi castigliane, e all’uso pratica e forma di governo che si tiene e si è tenuto in Castiglia e nei suoi tribunali, senza differenza alcuna tra essi».
Filippo V si guardò bene dall’ascoltare i consigli del marchese di Villena che auspicava il ritorno alla tradizione politica più autentica delle libertà castigliane. Filippo V francesizzò ed europeizzò le istituzioni catalane, aragonesi e valenzane. Gli uomini che applicarono il decreto del 1707 riguardante l’Aragona e Valenza non erano formati con lo spirito delle libertà patrie. Essi furono un francese e un francesizzato: l’ambasciatore francese Amelot e il rinnovatore Melchor de Macanaz, definito da Elías de Tejada «campione della prima ondata degli assolutisti e degli scettici alla moda». Macanaz, non a caso, fu l’esecutore munito di pieni poteri, che si conquistò la funesta gloria di annientare la tradizione galiziana. Nel suo Informe espresse l’odio inesauribile per le libertà spagnole e, non contento di averle distrutte violentemente nel regno di Valenza e di Aragona, si sforzò di sopprimerle in Catalogna.
Gli ultimi resti delle libertà catalane erano stati condannati a morte da un pedante infrancesato, traditore di una delle più nobili cause della storia. Le leggi aragonesi, stabilite nel 1711 e quelle catalane, che si mantennero in vigore per il decreto del 16 gennaio 1711, appartenevano tutte al diritto privato, ma il diritto pubblico venne completamente annientato. Commenta Elias de Tejada: “così finiva, sotto il pretesto di punire una ribellione, il più libero dei sistemi politici che la storia abbia conosciuto e la cima più alta del buon governo di tutti i tempi”.
Puntualmente, dopo aver distrutto nel 1648 i sogni universali e cristiani di Castiglia, la vincitrice entra nel nostro seno per distruggere le libertà aragonesi.
Nel 1700 cambia il campo di battaglia della lotta tra le Spagne e l’Europa. Si giunge a combattere all’interno della stessa Spagna. I popoli che un tempo avevano conservato le loro tradizioni ora sono divisi. Nelle minoranze dirigenti si comincia a parteggiare per l’europeizzazione nell’ansia di scuotersi di dosso la polvere della propria storia.
Oggi siamo giunti al termine di una triste guerra: non si lotta più per imporre l’ordine cristiano; non si lotta più in nome degli ideali della fede, ma si lotta solo ed esclusivamente per l’europeizzazione. Per l’Europa del pensiero unico, per l’Europa dei mercanti, delle banche e delle dittature che di volta in volta si introducono.
Desideriamo concludere la riflessione di questo editoriale ancora una volta con le parole del grande don Francisco Elías de Tejada il quale instancabilmente ci chiama a riflettere su quell’ordine progressivamente perfezionato senza salti nel vuoto che è la Tradizione.
E scrive: «La Tradizione nasce dalla vita…. Tutta la vita poggia su un insieme di esperienze e di opere che permangono quando l’uomo che le realizzò o le raccolse esce dal mondo dei vivi; ogni esistenza umana perfeziona un tesoro trasmissibile alle generazioni successive, ed è precisamente l’attitudine ad ereditare il tesoro accumulato dalle generazioni precedenti l’elemento che distingue l’uomo dagli animali. Quando nasciamo non nasciamo astrattamente, ma possedendo elementi vitali trasmessi dai nostri padri e che costituiscono ciò che chiamiamo la nostra cultura e la nostra Tradizione; perciò disse superbamente Donoso Cortés che “i popoli senza tradizioni diventano selvaggi”».
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