martedì 3 gennaio 2023

Avatar 2 e le chimere dell’occidente

Questo diario tradizionalista mi ospita solitamente per dei brevi dialoghi (spesso contro il cosiddetto “occidente”), ma in quest’occasione vorrei parlare dell’occidente attraverso il cinema e nello specifico tramite un film per ragazzi che sta riscuotendo un successo importante: Avatar 2. La via dell’acqua

Il regista James Cameron ci ha fatto aspettare ben tredici anni per vedere il secondo capitolo della saga, ma un polpettone scaldato più a lungo rimane sempre e comunque un polpettone. 

Riassumere i 192 minuti entro cui si dipana la trama non è affatto difficile: un tizio è andato su un altro pianeta e si è trasformato in un alieno, ha copulato con una bestia sua simile e ha generato 4 figli ibridi. 

Ora l’uomo-bestia vive integrato in una tribù di bestie come lui, che abitano in mezzo alla foresta e che per l’intera durata della pellicola non vediamo mai mangiare né lavorare (un paio di volte pescano con le frecce)… pazienza, si vede che non hanno peccato originale, è scontato che (a differenza nostra) sono tutti “buoni selvaggi”. Ogni bestia ha una sorta di coda usb per collegarsi agli animali del pianeta e alla “dea natura” (che quindi è un computerone?). 

L’idillio delle bestie è ovviamente violato da un’invasione di umani (maledetti, non sanno vivere da buoni selvaggi!), perché la terra ha (ovviamente) esaurito le sue risorse e bisogna colonizzare un nuovo pianeta. Tutta roba nuova e mai sentita!

Fin qui possiamo dire che si tratta di una riscrittura della storia degli indiani e dei cowboy, ma dato che il primo capitolo del film aveva già esaurito questo canovaccio, il regista ha pensato bene di spostare l’azione dal regno delle bestie della giungla al regno delle bestie dell’acqua. 

Poiché il pianeta ci pare semivuoto, il genere umano potrebbe tranquillamente scendere a patti con le bestie, ma come tutti sappiamo l’uomo non riesce a calarsi nei panni del buon selvaggio ed è nemico giurato della “dea natura”… e quindi ci vuole il guerrone. Tuttavia anche una guerra regolare sarebbe una traiettoria troppo logica e lineare, meglio quindi risuscitare come bestia un soldato che aveva combattuto durante un primo tentativo di invasione interplanetaria e fornirgli un’autorità quasi illimitata per permettergli di ottenere la sua vendetta personale sul protagonista, l’ex uomo che ha figliato con una bestia. 

Venuta a conoscenza dell’incresciosa situazione, la famiglia delle bestie decide di lasciare la tribù dei boschi (che, in quanto più civile degli umani, aveva concesso la cittadinanza al protagonista) per non metterla in una brutta posizione diplomatica. Che fare? La soluzione non poteva che essere una sola: trasferirsi presso la spiaggia in cui vive una tribù di bestie marine e mettere nei guai anche questi poveracci anfibi. Il cambio di fondale non risolleva una storia sciatta, il cui unico motore sono le marachelle dei discoli figliuoli ibridi, i quali non hanno nulla da fare se non mettere a rischio le loro giovani vite. Non si riesce mai a capire se costoro siano bambini, adolescenti o giovani adulti: a tratti sono minacciati con punizioni infantili, mentre in altri momenti sono dei guerrieri che partecipano a rischiose operazioni paramilitari. Prima di inventarsi una cultura, il regista avrebbe dovuto meditare sul fatto che tutti i popoli hanno dei riti che segnano il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta operando una separazione precisa, ma Cameron è un occidentale, e in occidente queste facezie sopravvivono solo nelle enclave di immigrati. I figli degli occidentali non hanno percorsi da seguire, sanno già tutto appena nati, vivono allo sbaraglio e vengono su da soli (a pane e propaganda), quasi come i buoni selvaggi… in Avatar 2 non manca nemmeno un piccolo Mowgli coi rasta. 

Le ideologie progressiste che si mescolano in questo gran minestrone sono diverse. Innanzitutto i cattivi non bestializzati sono tutti bianchi statunitensi, ma commuove l’inserimento di un’asiatica (giapponese?) in una scena di caccia alle balene aliene! In secondo luogo, le balene sono più intelligenti degli uomini, poiché hanno più neuroni e questo le fornisce di un amore innato per la musica, una matematica, una filosofia, addirittura una spiritualità… e del resto persino una balena è più spirituale di un uomo occidentale. Tra le tribù di bestie rivive inoltre qualche accenno della vecchia fandonia ottocentesca del matriarcato preistorico e (ovviamente) il culto della dea natura, ma c’è di più! L’intero pianeta è un grande organismo vivente, proprio come sosteneva James Lovelock (1919-2022), uno “scienziato indipendente” (o meglio un ciarlatano) convinto che la terra fosse un unico grande animalone… e gli uomini i suoi parassiti da estirpare. 

Verso la fine del film c’è anche una citazione (scopiazzatura?) da Moby Dick, con la grande balena aliena che trancia un arto al tracotante baleniere che ha ucciso numerosi cetacei extraterrestri per trarre dai loro corpi un liquido dorato che ferma l’invecchiamento degli umani. 

Soffermarsi su come e perché chi ha organizzato le scene di battaglia non abbia la minima idea di come si spari o si tiri con l’arco sarebbe un’inutile perdita di tempo, da questo punto di vista il cinema mondiale ci ha già abituati bene. 

Fino a qualche anno fa i buoni selvaggi dell’occidente erano gli antichi politeisti del continente europeo, ma forse anche i progressisti hanno iniziato a capire che anche i nostri remoti antenati erano portatori di idee “retrograde”… talvolta pericolosamente vicine al Cristianesimo! Meglio quindi fare tabula rasa e sognare mondi fantastici in cui rappresentare il grande scontro tra la perversa razza umana e le buone forze della dea natura, unica grande religione dell’occidente contemporaneo. 

Agli inizi del 2010, quando era uscito il primo Avatar, un regista erotico veneziano aveva annunciato “Girerò Chiavatar!”… Avatar 2, invece, è proprio una chiavica. Sorge un interrogativo di fondo: a chi doveva rivolgersi questa pellicola? Agli adulti? Ai bambini? Non è chiaro. L’aspetto più agghiacciante della versione italiana è il linguaggio dei personaggi giovani, un triste susseguirsi di “bro, ehi bro” che alle nostre orecchie rende gli uomini bestia assimilabili a dei trapper milanesi, mancava solo qualche bel “uè fratm”, “bella zì”!

Il particolare degli uomini che diventano bestie potrebbe far gridare all’appropriazione culturale, ma Cameron scavalca il problema con una bella favoletta inclusiva: il protagonista era un uomo ed è diventato il capo delle bestie della foresta, è vissuto per un po’ tra le bestie del mare e si è beccato la seconda cittadinanza. Ormai la nenia dell’essere “cittadini del mondo” non basta più, bisogna essere cittadini dell’universo! Oggi uomo, domani scimmiotto, dopodomani uomo-pesce!

La morale è che il cosiddetto occidente non ha tradizione e si rifugia nel fantasy, ma ricade sempre nei suoi fantasmi e nella sua retorica ridicola. Il cosiddetto occidente si odia profondamente e sceglie sé stesso come antagonista delle sue storie, ma lo fa esaltando una pseudo-etica che è comunque un prodotto occidentale. Viene però da ridere se si riflette sul fatto che nella società “secondo natura” delle tribù di Avatar (come praticamente in ogni fantasy) non c’è democrazia, ma piuttosto autocrazia, e alla fine de La via dell’acqua Cameron ci regala pure una sequenza con un simpatico “saluto gladiatorio” (il saluto della milizia romana) degno di qualche gruppuscolo di estrema destra delle borgate italiche. Ma quest’ultimo dettaglio, probabilmente, il nordamericano medio non lo avrà neppure colto. 

Avatar 2 non è nemmeno un film di propaganda, il cosiddetto occidente è talmente imbevuto di propaganda progressista che questa è la massima espressione della sua cultura.

Ciro Cardin-Pasqual


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