Introduzione di Diego Benedetto Panetta
Buonasera a tutti
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Quando ho appreso dal prof. de Antonellis dell’intenzione di voler presentare qui a Gaeta la Collana di Studi carlisti, sono stato sin da subito entusiasta per evidenti ragioni e storiche e valoriali.
Perché, vedete, considerare il solo elemento storico, il puro dato evenemenziale, privo della dimensione di senso che lo sorregge e lo sostanzia, equivale a parlare una lingua monca. Considerare la storia come un insieme di eventi dal quale non si può trarre alcun significato di fondo, alcun valore, considerare pertanto la storia da un punto di vista assiologicamente neutro, comporta la negazione della stessa funzione della storia quale magistra vitae.
La Collana di Studi che andremo a presentare, invece, è definita particolarmente da quell’aggettivo: “carlisti”, il quale esprime l’ordine dei valori nei quali ci si muove. Francisco Elías de Tejada osserva che la ragion d’essere del Carlismo sta nel sentirsi “l’erede delle vecchie Spagne, il continuatore della Controriforma, l’ultimo innamorato dell’ideale di una Cristianità cattolica” (Il Carlismo, trad. it., Solfanelli 2018, p. 72).
Sorta come movimento dinastico durante gli anni ’30 del secolo XIX, la nascente Comunità carlista raccolse sin da subito, tra le proprie fila, non solamente dei semplici sostenitori del “reclamante” al trono Don Carlos María Isidro (1788-1855), ma innanzitutto e in particolar modo, coloro che desideravano continuare ad essere gli “eredi delle vecchie Spagne, i continuatori della Controriforma, gli ultimi innamorati dell’ideale di una Cristianità cattolica”.
Ebbene, se il Carlismo, dunque, attraverso la persona di S.A.R. Sisto Enrico di Borbone, rappresenta ancor oggi il frutto più maturo e l’eredità più feconda delle Spagne; se rappresenta ancor oggi quella Cristianità in atto nei secoli, ecco allora che ben si comprenderà l’orgoglio e la soddisfazione di presentare a Gaeta, con degli illustri ospiti, una collana di studi che si occupi di approfondire ed analizzare il suo ideario.
Nei giorni che hanno preceduto questo incontro, ho provato a verificare se in qualche modo lo stile o modo d’essere ispanico, per dirla con García Morente, collimasse con l’atteggiamento e il ruolo svolto nella storia da Gaeta, nelle sue diverse scansioni temporali, ovvero prima da Repubblica marinara costituitasi in Ducato autonomo e, infine, da insigne città del Regno di Napoli.
Consentitemi, pertanto, solo pochissimi minuti per dare qualche piccolo input su Gaeta e sul ruolo che ha avuto nella storia, che di certo non inizia e finisce nella sola, per quanto gloriosa, epoca borbonica.
García Morente afferma che lo stile ispanico è simbolicamente rappresentato dalla figura del cavaliere cristiano, perennemente vocato alla lotta e impaziente dell’eternità.
Ebbene l’atto d’esordio sul palcoscenico della storia, Gaeta lo ebbe a cavallo fra l’VIII e il IX secolo. Gaeta nasce come castrum sul finire del VI secolo, per offrire riparo alle vicine popolazioni in fuga dalle devastazioni longobarde, e si afferma al termine dell’VIII secolo in funzione anti-saracena. Queste due caratteristiche, l’una legata al fatto di essere castrum, cioè una piazzaforte fortificata di fatto inespugnabile, e l’altra legata al fatto di combattere le scorrerie musulmane provenienti sia dalla costa che dalla terra ferma, costituiranno una costante nella storia di Gaeta. E i due castelli che sorgono sulla sua sommità, ovvero i castelli Angioino ed Aragonese, oltre a dire molto del lascito delle due dinastie, attestano il ruolo fondamentale svolto da Gaeta lungo l’arco della sua esistenza, quale porta strategica o come veniva definita, quale “chiave del regno di Napoli”.
Gaeta, nella sua storia, subirà circa quindici assedi e svolgerà quelle che sono state definite essere delle vere e proprie crociate “ante litteram”, che contribuiranno a salvare, e non esagero, la Cristianità nel suo nucleo vitale.
Perché spesso si dimentica che Roma e la Sede Apostolica per ben due volte, nell’830 e nell’846, furono di fatto espugnate dai musulmani. Le basiliche di San Pietro e di San Paolo Fuori Le Mura furono depredate, così come vennero profanati i loro altari e tabernacoli. Nell’830 i saraceni giunsero addirittura sino a Subiaco, devastando la cittadina, il Monastero di san Benedetto e le zone circostanti.
Per evitare quello che sarebbe stato probabilmente l’ennesimo e definitivo attacco saraceno contro la città di Roma e la Cristianità, i Ducati di Gaeta, Napoli, Amalfi e Sorrento, con l’appoggio del Papa, si costituirono in una Lega campana, la cui flotta annientò quella musulmana dinanzi l’antica cittadina di Ostia, nella celebre Battaglia di Ostia (849), di cui Raffaello ci ha lasciato un bellissimo affresco, attualmente sito nelle Stanze Vaticane.
Nelle pagine dell’enciclopedia Treccani, lo storico Michelangelo Schipa arriva a definire la Battaglia di Ostia, “la più insigne vittoria navale dei cristiani sui musulmani, prima di Lepanto”.
La più insigne forse, ma sicuramente non l’ultima. Perché già nel 915 vari Ducati e Principati d’Italia, fra cui Gaeta, Napoli, Amalfi, Benevento, Spoleto, a cui si aggiunse anche l’Impero bizantino, riuniti in una Lega cristiana promossa da papa Giovanni X, riuscirono ad espellere definitivamente il più pericoloso e forte insediamento musulmano presente nell’Italia centrale, insediatosi alla foce del fiume Garigliano, nei pressi della cittadina di Minturno, distante circa una ventina chilometri da qui, in quella che passerà alla storia come Battaglia del Garigliano.
Gaeta partecipò dunque a suo modo alla Reconquista di territori minacciati dalla presenza o dalle incursioni saracene, e avvertì sempre se stessa come castrum di mare, ma non “del mare”, nella accezione terminologica e concettuale che dà ad essa il filosofo e giurista Carl Schmitt.
Gaeta nel XII secolo sarà annessa da re Ruggero II nel Regno di Sicilia e di lì in poi incrocerà il suo destino con quello dell’intero meridione, sino al 1861. Anzi, come ricordato, sarà proprio da Gaeta che, successivamente, gli angioini prima e gli aragonesi poi, si lanceranno alla conquista di Napoli e dell’intero regno.
A testimonianza della sua vocazione ad essere un castrum di mare, vi è l’importante opera di edificazione e di fortificazione di cui sarà resa oggetto dal primo regnante aragonese Alfonso il Magnanimo, che fece costruire ben due cinte murarie e il castello aragonese, anche detto “alfonsino”, il quale venne fatto adibire a reggia e dove egli stesso risiedette fra il 1436 al 1442, ovvero quando sarà proclamato re di Napoli.
Un secolo dopo, nel 1536, l’imperatore delle Spagne Carlo V sbarca a Gaeta e le fa visita. Volendo dare seguito a quanto già fatto dal nonno, Ferdinando il Cattolico, egli dispone la costruzione di una ennesima cinta muraria, la quarta, di cui fa parte la Porta di Terra, comunemente nota come porta Carlo V, ancora ben visibile; l’unica porta che sino al 1928 consentiva l’accesso alla cosiddetta “Cittadella”, cioè la parte dove ci troviamo noi adesso, la cosiddetta Gaeta medievale.
Questa porta ha un significato simbolico molto rilevante, dal mio punto di vista. Metaforicamente è come se proiettasse la mente del visitatore o semplicemente di chi vuol conoscere in profondità Gaeta, attraverso una porta, o meglio, “la porta” delle Spagne. All’interno si trova l’affresco di Nuestra Señora de la Soledad voluta dal maestro di campo spagnolo, don Alfonso de Monroy, come ricorda l’effige originale in lingua spagnola ancora lì presente, quasi a suggello dell’epopea di cui Gaeta – nel suo piccolo – quale parte integrante e viva delle Spagne, fece parte.
Soltanto attraverso questa porta è possibile comprendere, anche retrospettivamente, accadimenti storici nonché figure illustri nate e cresciute a Gaeta, come il cardinale Tommaso de Vio, a cui il prof. Elías de Tejada dedica il primo capitolo del secondo volume della sua opera Nápoles Hispanico. Egli definisce il cardinal de Vio come “il primo portabandiera della Controriforma”, per il suo acuto ingegno e lo spirito pugnace, che lo portarono ad essere insigne teologo, e, allo stesso tempo, diplomatico pontificio di ortodossia ferrea: in grado di negare personalmente la richiesta di divorzio al monarca inglese Enrico VIII e di intimare a Lutero di recedere dai suoi propositi ereticali, nonché di partecipare alla Dieta di Augusta ove si batté per l’elezione di Carlo V.
E, ancora, è ai piedi del santi patroni di Gaeta, sant’Erasmo e Marciano, che l’ammiraglio della flotta pontifica Marcantonio Colonna, nel 1571, al ritorno da Lepanto, sciolse il voto contratto prima della battaglia e consegnò ai santi protettori e alla città, lo Stendardo di Lepanto che svettava sulla nave ammiraglia della flotta pontificia, e che è custodito proprio qui, all’interno del Museo Diocesano.
Tutto questo, in qualche modo, lasciava prefigurare un ruolo importante per Gaeta anche in futuro, ma secoli dopo accadde qualcosa, se vogliamo, di inimmaginabile.
Gaeta, infatti, per circa diciassette mesi viene scelta dalla Provvidenza per essere Sede del Papato. Nella Cappella d’oro annessa al Santuario della Santissima Annunziata, Pio IX, sostando in preghiera, deciderà, ispirato dalla grazia, di procedere con la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, tant’è che è proprio da Gaeta che scriverà l’enciclica Ubi Primum, il 2 febbraio 1849, con la quale chiederà all’episcopato mondiale le proprie impressioni in materia, come riportato in un’altra enciclica, la più nota Ineffabilis Deus (1854). All’interno di questa vi si trova la proclamazione ufficiale del dogma dell’Immacolata Concezione, e si ricorda brevemente l’excursus storico che portò alla solenne definizione, riconoscendo esplicitamente il ruolo svolto da Gaeta.
Le pagine di fedeltà ed eroismo avvolgeranno anche l’intera epopea borbonica.
Vi basti un dato: nel 1738 Carlo III incontrerà per la prima volta nei pressi di Gaeta la sua novella sposa Maria Amalia di Sassonia e, nell’occasione, investirà Gaeta del titolo di “città Fedelissima”, per la generosità con la quale l’intera popolazione offrì al nuovo monarca le spese relative ai festeggiamenti occorsi per la celebrazione del matrimonio, oltre che per l’ospitalità che diede alla coppia reale nei giorni a seguire.
Quel giorno, in realtà, anche Gaeta si maritò ai Borbone e, come per ogni matrimonio, Gaeta promise fedeltà alla dinastia “nella gioia e nel dolore”. Dando seguito a tale promessa, nel triste febbraio del 1861 Gaeta seppe meritarsi “sul campo”, nel dolore per l’appunto, versando il proprio tributo di sangue, quel titolo assegnatole da re Carlo oltre un secolo prima.
Ritengo e spero, quindi, che Gaeta, visto questo breve affresco storico, possa dare ancora molto nella misura in cui ritrovi se stessa ai piedi di Nuestra Señora della Soledad, e sappia ascoltare la voce che le giunge dalla sua storia, e che le parla dell’impresa eroica di cui fece parte nei secoli IX-X, ma soprattutto nei secoli XVI-XVII, quando partecipando alla crociata missionaria delle Spagne, seppe ergersi in difesa della comune fede cattolica, al fianco del medesimo re.
Diego Benedetto Panetta
Gaeta, 26 Novembre 2022 – Museo diocesano
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