Premessa
Questo semplice dialogo è stato scritto due anni fa, e sarebbe stato inviato alla redazione a prescindere dagli avvenimenti presenti. La notizia della scomparsa di Elisabetta II è recentissima e oggi alcuni pareri critici contenuti in questo testo non possono che allarmare maggiormente sul futuro della monarchia in Inghilterra, tuttavia i rischi a cui quest’istituzione si espone sono tutti frutto della storia di quel paese, che va studiata e compresa.
Un requeté
Personaggi
Arlecchino: maschera dei quartieri poveri di Bergamo.
Trivellino: suo antagonista; servo intrigante di origine ignota, ma anch’egli con abito rattoppato.
Gioppino: bergamasco di mezza età con enormi gozzi, provocati (pare) dalla qualità dell’acqua di Zanica. Uomo semplice, ma dotato di forte senso pratico.
Dialogo
Nei
primi giorni di aprile del 2020,
Venezia è alle prese con la
misteriosa epidemia che imperversa nel mondo.
Solo due facchini si
muovono con una certa libertà per scaricare casse:
Arlecchino e
Trivellino. Dopo
aver lavorato per alcune ore,
le due maschere si fermano per sedersi
e fumare una sigaretta.
Trivellino: (guardando a terra) Toh, un giornale!
Arlecchino: (con noncuranza) Io è da quando è iniziata questa faccenda del virus che non leggo più nessun giornale, parlano tutti solo dell’epidemia e pochissimo altro. Mi sembra uno spreco di denaro. Che giornate cupe, per fortuna noi possiamo muoverci...e del resto portiamo sempre la mascherina.
T.: (raccoglie il giornale e lo sfoglia) Ha qualche giorno, ma non sbagli.
(Pausa)
Però qui c’è una notizia diversa: «Coronavirus, la regina Elisabetta domani parlerà alla nazione: è la quarta volta in 68 anni».
A.: Sì, è vecchio, ha un paio di giorni.
T.: Quattro volte in 68 anni... Che vita dura!
A.: Premetto che non voglio fare polemica, né banalizzare alcunché. Né difendere la casata illegittima che oggi è sul trono inglese. In realtà è semplicemente una concezione diversa della politica. Proverò a fare una sintesi molto grezza. Fino ad alcuni secoli fa nessun capo di stato (normalmente) parlava costantemente in pubblico. L’autorità dell’aristocrazia non è di carattere intellettuale, ma spirituale: l’aristocrazia non era considerata superiore per la sua erudizione, bensì le era attribuita una superiorità morale e spirituale, ossia un ruolo morale. La missione degli aristocratici è moralizzare.
Il Re non era un demagogo che teneva discorsi sopra un palco. Per giudicare realtà diverse dalla nostra attuale bisogna conoscerle ed evitare di usare parametri sballati. Mi sembra quasi assurdo di trovarmi a difendere questa Regina, poiché non ne ho alcun desiderio, ma mi sono sentito almeno di dire due parole sull’istituto monarchico.
T.: Superiorità morale...non dittatura...viene da ridere!
A.: Ma che vai dicendo? Mi prendi in giro? La monarchia britannica sarebbe una dittatura? Nel Regno Unito il dittatore è il progressismo. Non mettermi in bocca parole che non ho mai usato. Io ho esposto un principio, quali siano state le sue applicazioni nella realtà (e quale sia il mio giudizio personale sull’attuale casata inglese) è un altro discorso. La tua idea di monarchia è distorta: confondere monarchia e dittatura è assurdo!
Fino a Luigi XIV le monarchie del continente europeo non erano assolutiste, il Re non poteva fare ciò che voleva “dall’alto al basso”, come diciamo qui a Venezia. Il suo potere era limitato.
T.: Insomma “è stato Gigi Scartosso”, bene specificare “monarchia inglese recente” per distinguerla da tutte le altre allora...
A.: No, il principio che ho esposto è anteriore alle rivoluzioni che hanno colpito l’Inghilterra, anteriore alla monarchia liberale. Non si deve confondere monarchia e totalitarismo, e non bisogna credere che tutte le monarchie siano sempre state assolute.
Prima dell’assolutismo il Re governava e regnava (in Inghilterra ora regna e basta) e il potere del monarca era limitato dal rispetto dei corpi intermedi, delle leggi locali delle varie comunità e coadiuvato dai ministri e dai consigli. Inoltre, il Re era ovviamente tenuto a seguire la morale cattolica (la monarchia inglese se ne è allontanata e si è posta a capo di una sua falsa chiesa che oggi non avrebbe più alcun motivo di esistere). Che poi l’attuale famiglia reale inglese non incarni dei valori di moralità esemplare, direi che è evidente, ma questa è un’altra questione.
T.: A me sembra che tu stia facendo discorsi filosofici che non esistono nella realtà.
A.: Avevo già chiarito cosa intendevo dire: volevo definire un principio e spiegare perché i Re, in situazioni normali, “parlino poco”. Ripeto, in condizioni ordinarie – perché è chiaro che in guerra e in esilio è normale che un Re scriva molti proclami, abbiamo ancora tutti quelli di Francesco II, per esempio.
Sei
tu che hai detto che tutti gli aristocratici della storia da Carlo
Magno ai Dogi della nostra Venezia, fino ai monarchi inglesi sono
dittatori (nell’accezione
novecentesca del termine). E io ti ho spiegato che il totalitarismo
non c’entra
nulla. Le dittature del Novecento forgiano le loro rivoluzioni e
distruggono la tradizione: per Hobbes, il sovrano
(il monarca assoluto) garantisce il diritto alla sopravvivenza (mi
protegge come suddito e io cedo tutta la mia libertà per avere
protezione), i totalitarismi vanno anche oltre: i totalitarismi
pretendono di non sottostare nemmeno all’autorità
e alla legge di Dio. Per Hobbes il sovrano è sopra la legge e deve
sottostare solo a Dio, solo il monarca assoluto può essere veramente
definito sovrano. Juan Vázquez de Mella aveva già compreso che lo
stato totalitario superava ogni assolutismo passato togliendo tutte
le libertà, con una ingerenza nuova e inedita sulle vite degli
individui.
Sei andato fuori tema, se adesso vuoi che ci mettiamo a dare un
giudizio morale sulla condotta di ogni singolo Principe della storia
andiamo ad aprire una discussione infinita, e comunque certi giudizi
è meglio lasciarli al Signore.
T.: Quando lo hai detto? Non mi pare proprio, caro! Poi parli dei Dogi e della monarchia, il Doge era eletto, saluti! (Fa per girare le spalle)
A.: Collega, io ho detto che l’attributo dell’aristocrazia era morale, non intellettuale: i Principi non sono né accademici né parolai. Il concetto di “aristocrazia intellettuale” è borghese. E tu sei venuto a dirmi: «No, è tutta una dittatura!» (sto parafrasando il tuo discorso).
Ho citato Carlo Magno – che per altro era assai poco capace di
leggere e scrivere – e il patriziato veneto solo per far capire
quanto può essere ampia la discussione.
Forse
tu non sei pratico della città di San Marco, e non la conosci bene,
anche se pure io sono foresto.
La Repubblica di Venezia era una Repubblica aristocratica, e il Doge
era un principe scelto da un consiglio di suoi pari. Ogni patrizio
veneto tradizionalmente portava solo il titolo di nobilhomo (NH),
ogni patrizio poteva aspirare al corno dogale e quindi, di fatto,
ogni patrizio era un principe ereditario aspirante al trono.
Infatti
ogni singolo patrizio veneto (in linea di principio) poteva
considerarsi pari ai monarchi europei. Per tale ragione, per
un’aristocratica
membra di una nobiltà di Terraferma o greca, sposare un patrizio
veneto era un bell’avanzamento.
Non è errato definire la Repubblica di Venezia una “monarchia
elettiva mista al patriziato”, non sono parole mie.
T.: Ora confronti il patriziato veneto con quelli europei...
A.:
(confuso) Non ti
seguo... ho detto che il Doge, il Serenissimo Principe, era appunto
un Principe e Principi erano anche tutti i patrizi veneti. E
ovviamente erano aristocratici. Il mio ultimo commento era chiaro e
sufficientemente esaustivo, non mi sembra il caso di ripeterlo.
Trivellino, tu cerchi sempre di fregarmi, ma questa volta non ci puoi
riuscire...
T.: (confuso) Credi che conti la famiglia?
A.: «la stirpe non fa le singulari persone nobili», recita il Convivio, «ma le singulari persone fanno nobile la stirpe».
T.: (farfugliando) Un conto è la successione ereditaria...gli aristocratici erano famiglie ricche...altro che superiorità morale e spirituale...ed essendo le loro nomine ereditarie erano dittatori. Punto! La Regina d’Inghilterra fino a qualche anno fa aveva poteri non da poco, a casa mia chiamasi dittatura in quanto non eletta da nessuno...ma dittatura con carica ereditaria, che non fa la persona più adatta moralmente.
A.:
Non si capisce nulla di ciò che intendi dire. Vedi, è come se io ti chiedessi che ore sono e tu mi rispondessi: “giallo”. Tu non hai capito nulla di ciò che ho detto, nemmeno una parola. Stai spostando la discussione sul piano delle tue idee personali e stai facendo un gran minestrone di dittature novecentesche, totalitarismo e assolutismo monarchico. L’aristocrazia aveva dei precisi valori morali e spirituali, senza i quali non ha senso di esistere come ordine sociale: se li perde non ha più legittimità di esercizio e il sangue non conta più. Arlecchino si intende bene di vestiti consunti, Dante scrisse: nobiltà «Ben se’ tu manto che tosto raccorce; / sì che, se non s’appon di dì in dìe / lo tempo va dintorno con la force».
A Venezia il titolo si poteva comprare (tutti i nobili sono discendenti di uomini che in un certo momento storico sono stati nobilitati!), ma le istituzioni repubblicane erano impregnate di sacralità e ogni patrizio era educato per divenire un servitore della collettività (e ovviamente aveva un’educazione cattolica).
Le tue idee sono tue, ma non dovresti confondere le tue opinioni personali con i concetti teorici su cui si fondavano delle istituzioni. Convenzionalmente, dittatura significa: “situazione data dall’accentramento, in via straordinaria e temporanea, di tutti i poteri in un solo organo, monocratico o collegiale”. Poiché ti ho già spiegato che i monarchi prima del Re Sole non erano assolutisti, il tuo discorso è sbagliato e stai utilizzando le parole senza conoscerne il significato.
T.: (farfuglia) Chi ha cominciato assoggettando l’aristocrazia alla superiorità morale e spirituale non sono di certo io.
A.: Ma cosa vai dicendo? “Assoggettare” significa soggiogare o sottomettere, cerca di usare le parole con cognizione di causa. La tua ultima frase non ha nessun senso.
Io ho detto che l’aristocrazia, in linea teorica, ha dei valori precisi e un significato preciso.
Quello che tu hai fatto è dire: “No, non è così perché a me non piace!”. È come se io dicessi: “Teoricamente il compito degli impiegati comunali è quello di svolgere un’attività di funzionari”, ma poi arriva un tizio e si mette a gridare: “Falso! Io conosco gli impiegati comunali e non fanno nulla!”
E io: “Ma io sto dicendo che gli impiegati comunali sono tenuti a lavorare...” e l’energumeno: “No, non fanno nulla perché li ho visti io, conosco tutti gli impiegati comunali dell’universo e ho ragione perché l’ho deciso io!”
T.: (farfuglia) Associato...completamento automatico...
A.: Parole in libertà!
(Gioppino gira l’angolo e interviene.)
Gioppino: Ha ragione il mio compatriota!
A.: Sì, anch’io sono di Bergamo, si sente?
G.: Vi ho ascoltato con interesse mentre parlavate della nostra vecchia Repubblica e dell’aristocrazia. Vi offro qualcosa da bere sulla mia barca.
(Si allontanano e lasciano Trivellino.)
A.: Lavorate anche voi?
G.: Porto casse a Venezia dalla Terraferma. Voi siete un facchino, perché sapete parlare di queste cose?
A.: Cerco di elevarmi usando gli strumenti che il presente – tra tante cose cattive – ci mette a disposizione.
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