martedì 9 agosto 2022

Petitto, Evola e l’aristocrazia nel Cattolicesimo


 Recentemente sul portale Historia Regni chi scrive ha pubblicato un articolo dedicato al Conte Renato Remo Petitto (1890-1978), carlista nativo di Frascati. Nel testo è sintetizzata anche la critica esposta da Julius Evola verso il contenuto del suo libro Aristocrazia custode (Gatti, Brescia 1931), tuttavia alcune questioni meritano di essere messe a fuoco maggiormente e da questa necessità è nato il presente scritto, che si spera possa arricchire il nostro “diario” dottrinale.

Il saggio di Evola su Petitto fu pubblicato in La Vita Italiana, nello stesso anno in cui fu stampato il volume – che fu poco gradito dal Barone romano. In questa sorta di lunga recensione, Petitto è accusato di voler scendere a patti con la modernità: secondo Evola egli «vive della nostalgia per una imagine tratta dalla società di ieri senza rendersi conto che questa stessa imagine già costituisce un compromesso e una deviazione limitatrice rispetto ai puri principi», «Oggi come mai è necessario tenersi intransigentemente sulle linee di vetta: creare distanze invalicabili fra valori e valori» (cfr. RigenerAzione Evola)... o meglio (come vedremo) tra uomini e uomini

Nella sua trattazione, Evola parrebbe riconoscere come corretta l’intuizione della legittimità d’origine associata alla legittimità d’esercizio, ma rifiuta che gli aristocratici siano a servizio del popolo poiché – a suo giudizio – devono servire solo il principe. E qui si nota la differenza tra il cristiano Petitto e l’esoterico recensore: Evola è portatore di un razzismo che è sia scientifico che spirituale, egli vorrebbe operare separazioni tra uomini e uomini sulla base dei tratti somatici, ma spingersi anche oltre, sino a un sistema di caste retto da individui “supremi”. Egli non ha un vero senso di comunità, bensì di razza che va selezionata; in questo Evola si avvicina al Nietzsche de L’Anticristo (1895) (1) quando scrive: «I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro d’aiuto. Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio?  – Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo...», «Nel cristianesimo vengono in primo piano gli istinti dei sottomessi e degli oppressi: sono i ceti più bassi quelli che cercano in esso la loro salvezza» (2).

Il pensiero di Petitto nasce da un’altra base, appunto il Cristianesimo; nel Vangelo di Matteo si legge: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo» (Matteo 20:25-28), seguendo l’esempio di Gesù. La nobiltà autentica è dare il proprio contributo all’umanità e farsi servo di tutti. 

Evola non accetta che l’aristocrazia sia permeabile, cioè che possano sorgere nuove casate nobiliari, mentre Melchor Ferrer (1888-1965), nella sua sintesi della storia carlista, riconosce che ogni vera monarchia tradizionale accetta le radici popolari della monarchia stessa, rendendo le prime posizioni dello Stato accessibili a tutti, prescindendo dalle origini. 

Per Evola l’aristocrate è colui che si muove «al di là del bene e del male» (3) e al di fuori delle leggi che si impongono a tutti, ha quindi una visione assolutista, mentre per il Carlismo il Re non ha diritto di governare se non secondo la Religione, la legge e i Fueros. Ne consegue che l’occultista aveva in realtà una visione della legittimità d’esercizio tutta sua, indipendente dalla morale e – a questo punto – frutto solo delle simpatie arbitrarie e dei giudizi personali che maturava meditando nel suo studiolo. Cosa significa muoversi al di là del bene e del male? Secondo Evola la casta aristocratica ebbe la sua etica, mentre per il Carlismo la morale dell’aristocrazia è quella che dovrebbe appartenere anche alla comunità intera, il compito della nobiltà è quello di edificare la comunità nel modo in cui Paolo intende quest’azione (cfr. I Corinzi 14:12). Questo è il fondamento e la qualità sacra dell’aristocrazia. 

L’opera di Petitto non è priva di errori (primo tra tutti l’adesione al fascismo), ma egli aveva perfettamente ragione quando scriveva che l’aristocrazia ha senso solo quando è protettrice della Chiesa (la cui unica missione è quella di riuscire a salvare tutti) e la ha come stella polare. Evola chiede a questo punto che fine faccia la fedeltà al sovrano e qui cade ancora una volta nell’assolutismo, perché nella monarchia tradizionale il Re non è sovrano e in ogni caso non è al di sopra della legge di Dio. Carlo VII riconosceva il Papa come suo Re spirituale.

Criticando Petitto, Evola si indigna poiché comprende che per il carlista gli stati non cattolici mancano di una concezione dell’ordine: stando al Barone «Per esser tradizionali sul serio, e non in modo partigiano o dilettantesco», bisogna invece essere cattolici nel senso di “ricercatori universali” che scandagliano tutte le religioni e le culture, «Non si tratta cioè di fermarsi alle abitudini e agli esclusivismi faziosi di una data tradizione storica, ma di risalire a principi, che stanno al disopra di ogni tradizione storica particolare e, in pari tempo, alla base di ciascuna di esse, allo stesso modo che un identico significato può star alla base della sua espressione attraverso parole di lingue diverse» (cfr. RigenerAzione Evola). Arrivati a questo nodo della discussione è palese come lo scontro sia tra due sistemi inconciliabili, e forse non sarebbe nemmeno il caso di perdere tempo. Tuttavia, prescindendo dalle idee di ognuno, va riconosciuto che Petitto, coerentemente, fa riferimento al Cattolicesimo e a delle realtà concrete e storiche, mentre Evola si richiama a una fantomatica tradizione primitiva che nessuno ha mai conosciuto, né visto e che deriva solo da alcune convinzioni della sua epoca. La ricerca di un modello originario da cui sarebbero discesi i costumi politici dei cinesi, degli indiani e degli egizi dovrebbe fondarsi quantomeno su dei dati storici oggettivi, altrimenti è un’invenzione, e questo fa crollare l’intero sistema evoliano.

Tornando alla questione dell’ordine, se si chiede a un legittimista se l’India delle caste, la Cina o la Roma (politeista) dei Cesari ne avessero realmente uno la risposta non può essere che no. Gli stati cristiani sono ordinati sulla base di un principio fondamentale: l’impegno per salvare tutte le anime sostenendo e proteggendo la Chiesa, e laddove questo valore supremo non esiste non c’è legittimità. Petitto non è un modernista, o meglio, Evola lo reputa tale perché cristiano, ma il Barone si pone come “più tradizionale” richiamandosi a una tradizione inesistente che non è né realmente romana, né realmente cinese, né realmente indiana, né realmente iraniana. In ogni caso, se anche fosse rintracciabile una tradizione primaria umana (materiale), essa sarebbe comunque inferiore alla santa tradizione: la tradizione viva che è la Chiesa fondata da Gesù Cristo e a cui tutte le tradizioni umane devono adeguarsi nel loro percorso di miglioramento. 

I due pensatori parlavano con linguaggi completamente diversi e apparentemente si potrebbe concludere la faccenda osservando che “i dialoghi tra sordi non portano a nulla”, ma ci auguriamo che le note che abbiamo esposto non risultino inutili. Approfittando della confusione ideologica dell’epoca fascista (in verità non troppo diversa da quella che vige oggi) Evola non attaccò tanto Petitto per alcuni suoi errori di logica, bensì la stessa Cattolicità, e lo fece in modo abbastanza evidente, ma comunque subdolo.

Riccardo Pasqualin

Note

(1): In questo libello è presente anche un delirio islamofilo del filosofo germanico. In un primo momento egli sembra porre il maomettismo come un male, al pari della morale cristiana: «Quale fu l’unica cosa che più tardi Maometto prese a prestito dal cristianesimo? L’invenzione di Paolo, il suo mezzo per realizzare la tirannide dei sacerdoti, per formare delle mandrie» (L’Anticristo, Adelphi, Milano 2021, p. 56). Tuttavia più avanti giunge ad affermare: «[I Padri della Chiesa] Detto tra noi, non sono neppure maschi... Se l’islam ha in dispregio il cristianesimo, ha in ciò mille volte ragione: L’islam ha per presupposto dei maschi... Il cristianesimo ci ha defraudato del raccolto della civiltà antica; e più tardi ci ha defraudato di quello della civiltà islamica. Il meraviglioso mondo della civiltà moresca di Spagna, a noi in fondo più affine, più eloquente ai nostri sensi e al nostro gusto di quanto non lo siano Roma e la Grecia, fu calpestato – non dico da che specie di piedi – perché? Perché doveva la sua origine a istituti aristocratici, virili, perché diceva sì alla vita anche con le rare e raffinate preziosità della vita moresca!... In seguito i crociati combatterono qualcosa, di fronte a cui sarebbe stato più conveniente per essi prostrarsi nella polvere, – una civiltà rispetto alla quale persino il nostro secolo diciannovesimo potrebbe sembrare molto povero […]. Indubbiamente essi volevano saccheggiare: l’Oriente era ricco... Si sia dunque imparziali! Le crociate – una superiore pirateria e null’altro!» (ivi, pp. 92-93). Quasi in termini similari, Hitler arrivò a dire che l’islam sarebbe stato il culto più vicino al temperamento nazista, ma le parole di Nietzsche assomigliano anche alle farneticazioni cosmopolitiche dei progressisti europei più scalmanati. Ciò prova come il fascismo “esoterico” e il progressismo (anche inconsapevolmente) facciano fronte comune contro la Cristianità: il regno di satana non è affatto diviso in se stesso (Luca 11:18). 

(2) L’Anticristo, cit., p. 5, 24.

(3) Nietzsche ne L’Anticristo, descrivendo il buddhismo, afferma: «esso non dice più “lotta contro il peccato”, sibbene, dando completamente ragione alla realtà, “lotta contro il dolore”. Differenziandosi profondamente dal cristianesimo, esso ha già dietro di sé l’autoimpostura dei concetti morali, – esso sta, parlando nella mia lingua, al di là del bene e del male» (ivi, p. 23). Evola precisa di non richiamarsi a un frainteso superomismo nietzschiano, ma insiste sul fatto che il moralismo è un prodotto piccolo borghese, mentre l’aristocrazia aveva un’etica propria. In realtà il biasimo del Barone non è rivolto alla borghesia o al moralismo del suo tempo, ma più radicalmente al Cristianesimo.  

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