Recensione a:
José Miguel Gambra, La sociedad tradicional y sus enemigos, Guillermo Escolar, Madrid 2019, p. 238, € 15
Una sintesi efficacissima del pensiero politico
tradizionale, definita «il libro dell’anno e un libro per molti anni»
dal periodico "Las Libertades" e «un libro per dissidenti autentici e non di facciata» dallo
scrittore cattolico Juan Manuel de Prada. E la lettura non delude le aspettative.
L’autore è José Miguel Gambra, nato a Pamplona nel 1950, è ordinario di Logica presso
l’Università Complutense di Madrid e, dal 2010, Capo delegato della Comunione
Tradizionalista, come lo fu il padre, Rafael Gambra (1920-2004), illustre
docente universitario e filosofo neotomista.
Il testo – ci avverte l’autore – non è una confutazione
estemporanea dell’opera di Popper La
società aperta e i suoi nemici, saggio che si è limitato a suggerire il
titolo della presente opera: i nemici della società tradizionale sono, infatti,
sia la “società aperta” che i suoi nemici, essendo sia il liberalismo che il
totalitarismo due facce della stessa medaglia.
La tradizione può essere intesa in due modi: in senso
dinamico, come trasmissione della cultura
da una generazione all’altra (in modo cumulativo, ma critico, cioè scegliendo
il meglio del passato e apportando miglioramenti); oppure – in senso statico –
come cultura trasmessa, acriticamente
riportata (pensiamo agli Amish). Il secondo è un falso tradizionalismo, poiché
il vero tradizionalista non pretende di vivere nel passato bensì, una volta
spezzata la tradizione, recuperane i princìpi, i valori. Il Carlismo appartiene
sicuramente al tradizionalismo “dinamico”. Eppure, «la malevola ignoranza di
storici e giornalisti ha bollato il Carlismo come assolutista, fascista,
separatista, se non clericale; e, tra gli eretici usciti dalle sue fila, non
sono mancati liberali, democratico-cristiani, socialisti e comunisti. Il
pensiero carlista non s’identifica con alcuno di essi, pur avendo qualcosa del
loro pensiero: ma non perché il Carlismo sia eclettico e abbia spilluzzicato
qui e là per creare un’ideologia incoerente. Al contrario, sono tutte quelle
altre correnti politiche che hanno attinto al corpo dottrinale carlista – che
si basa essenzialmente sul periodo di maturità della Cristianità – dando luogo
alle proprie ideologie, sempre faziose, sempre deboli, cieche, monche o zoppe.
La dottrina tradizionale, fusione della sapienza cristiana con
un’esperienza naturale millenaria, cerca di dare ad ogni aspetto di una realtà
sociale enormemente complessa il posto che le corrisponde, in maniera da non concepire
la società né come una moltitudine disgregata, né come una unità monolitica;
non vede l’uomo come un angelo materializzato né come un robot particolarmente
complesso; non ammette alcun dispotismo, ma non tollera l’anarchia; non riduce la politica ad economia, ma non
prescinde da essa; non confina la religione a questione di coscienza, ma non
concede al sacerdozio il potere politico diretto; e sostiene una monarchia
temperata, non quella assoluta» (p. 17-18).
Per spiegare quale siano i fondamenti filosofici
dell’ideario (e non ideologia!) carlista, il punto di partenza è la razionalità
aristotelica, che Gambra contrappone al razionalismo illuminista, anche
proponendo il gustoso apologo di un philosophe che per sbaglio esce di casa, anziché con
il proprio bastone, con un metro di un carpentiere e che, accortosi
dell’errore, si chiede che farne e si lascia trascinare da una serie di
riflessioni astratte che lo allontanano dalla risposta più ovvia: restituire
l’oggetto. Ancora più esilarante la descrizione di ciò che accade ad un suo
giovane allievo, che raccoglie il metro abbandonato dal “maestro”. Sarà solo un
vecchio contadino, istruito dai principi della religione anziché da quelli
della filosofia alla moda, a compiere ciò che è più giusto e naturale: restituire
lo strumento.
Ribadito il carattere sociale dell’uomo – che dai primordi
della Storia nasce, vive e muore all’interno di una società – l’Autore analizza
quindi il concetto di “bene comune”, mutuato da Aristotele e perfezionato dal
pensiero cristiano (vivere “bene” significa vivere virtuosamente e il bene
comune non va quindi inteso – nel senso liberale – come beneficio personale o
come l’utile dello Stato). Ricordando le parole evangeliche «date a Cesare quel
che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio», Gambra commenta: «Poiché è palese
che Nostro Signore esiga questa duplice obbedienza indirizzata al bene comune,
[…] come può il cattolico, senza cadere in un conflitto insolubile, cercare il
bene comune immanente sotto la direzione di un Principe ed il bene comune
trascendente sotto la direzione del Sommo Pontefice? Tale questione sembra
avere solo due possibili soluzioni: unire il potere o dividere il cristiano»
(p. 54-55).
L’unione dei due poteri non va intesa nel senso di fusione
(come avveniva nell’antichità o avviene in certi Paesi protestanti, quale
l’Inghilterra), bensì come armonia tra loro, giustificata dalla comune origine
divina e dalla complementarità dei fini, evitando sia il cesaropapismo
(l’intromissione del potere civile nelle questioni ecclesiastiche) che la gerocrazia
o clericalismo (l’abuso inverso). Dopo vari esempi di fallibilità papale (dalla
deposizione di Federico II e la sua sostituzione con Luigi IX, rifiutata dal Re
Santo, perché il Papa «non è competente in tali questioni», all’errore sul ralliement
di Leone XIII, pur validissimo teorico), Gambra riporta le parole del legittimo
Carlo VII alla cugina Isabella (II), che gli proponeva di sottoporre al Papa, essendo
ambedue cattolici, il giudizio su a chi di loro spettasse il Trono di Spagna:
«in materia di politica considero l’opinione del Pontefice come quella di un
qualsiasi altro sovrano, con molta esperienza, ma niente di più; in materia di
fede o di morale, invece, mi sottoporrei completamente, perché lo ritengo
infallibile» (p. 70).
Quindi, in un denso capitolo intitolato Il liberalismo: la radice del male,
definisce tale dottrina (citando Vázquez de Mella) il principio per cui «ogni persona,
dall’individuo allo Stato, ha il diritto a non riconoscere come limite
giuridico della propria libertà, il dogma, la morale, il culto e la gerarchia
cattolica» (p. 89). Successivamente, Gambra analizza il liberalismo di stampo
inglese (Locke) e quello d’impronta francese (Rousseau), per giungere quindi al
liberalismo cattolico (o cattolicesimo liberale), «corrente giunta a trionfare
ai nostri giorni, nata all’inizio del XIX secolo e costantemente condannata dal
magistero ecclesiastico» (p. 97). Da Lamennais e Maritain, ambedue accomunati
dalla stessa visione liberale di fondo, nonostante le diverse vicissitudini esistenziali,
l’Autore passa ad una veloce disanima della gnosi, che con i suoi ideali
utopici, lontani dalla realtà effettiva, sta alla base tanto del liberalismo
laico (nelle sue varianti di Locke, Rousseau e Marx) che di quello cattolico ed
impedisce la soluzione dei problemi concreti del presente.
Altri problemi – e quindi altri nemici della società
tradizionale – sono il nazionalismo ed il totalitarismo, cui Gambra dedica
pagine interessanti: non si tratta solo di distinguere tra termini (come patria e nazione, ad esempio, etimologicamente identici, ma il primo
utilizzato dalla filosofia politica classica, il secondo da quella moderna),
quanto di distinguere il fine che essi si pongono.
Il patriottismo “naturale” corrisponde al sentimento di “pietas” per la patria terrena (mai
dimenticando la patria celeste, obiettivo finale della nostra esistenza):
poiché nasciamo in una società concreta (la famiglia), inserita a suo volta in
altre società concrete (la città, lo Stato), così come dobbiamo rispetto ai
genitori, lo dobbiamo anche alla patria, purché i fini di questi siano leciti.
E come non dovremmo seguire i genitori che ci volessero allontanare dalla vera
religione, così non dovremmo obbedire a governanti che comandino il contrario
di ciò che è voluto da Dio. Il problema dei «patriottismi spuri attuali [è che]
hanno perduto di vista il fine naturale e soprannaturale della vita umana nella
società» (p. 117).
Passando alla questione della nazione moderna, vista nella
sua triplice espressione di nazione-contratto (costituzionale), nazione-razza
(hitleriana) e nazione-stato (mussoliniana), essa viene ampiamente affrontata
anche con riferimenti impliciti alla situazione spagnola attuale e al
nazionalismo catalano. Un punto dolente, quest’ultimo: spesso si sente ripetere
la frase di Marcelino Menendez Pelayo (1856-1912) secondo cui la rottura
dell’unità porterebbe ai cosiddetti “regni di Taifas”, con riferimento ai caotici
regni arabi d’Iberia. Un timore effettivo; ma, in una prospettiva tradizionale,
la minaccia non deriverebbe tanto dalla frammentazione territoriale o,
conseguenza più grave, dal caos politico, bensì – sottolinea Gambra – soprattutto
dal fatto di essere musulmani, perdendo la propria identità religiosa (cfr. p.
129).
Come il falso patriottismo è uno dei nemici della società
tradizionale, così lo è anche il dispotismo, di cui vengono considerate le
varie declinazioni: assolutismo settecentesco, parlamentarismo
post-rivoluzionario ottocentesco, totalitarismo novecentesco, cui va aggiunta
la democrazia mediatica – o partitocratica – attuale. «Il totalitarismo è come
un campo di concentramento che schiavizza i cittadini, mentre la democrazia
sembra un riformatorio che li tratta come bambini da rieducare» (p. 149).
La presenza di corpi intermedi, unico e naturale rimedio al
dispotismo, è però generalmente assente dalle previsioni costituzionali e,
quando previsto (come nel caso della Costituzione spagnola del 1978), è di
fatto schiacciato dal sistema partitocratico.
Infine l’ultimo capitolo è dedicato alla forma di governo:
nella pars construens di questa sezione, l’Autore dimostra come sia
importante la ricerca teorica della perfetta forma di governo, quantunque si
debba fare la massima attenzione a non cadere nell’errore (verrebbe da dire nel
crimine) di cercare di applicare uno schema astratto senza tenere conto della
realtà sociale con cui si ha a che fare.
Partendo dalla distinzione delle tre forme pure di governo (monarchia, aristocrazia e
repubblica – le cui ben note degenerazioni
sono rispettivamente tirannia, oligarchia e democrazia), Gambra, sulla scorta di San Tommaso, propone come
ottimale una forma mista che, unendo monarchia,
aristocrazia e repubblica possa evitare degenerazioni. Per varie ragioni, però,
il discorso di San Tommaso è carente: forse è più teorico che pratico, secondo
alcuni critici; comunque è basato sull’osservazione di una società, quella
feudale, che non presenta le problematiche di quella moderna.
Va quindi individuata una soluzione che presenti la
moderazione del potere attraverso la presenza dei corpi intermedi, il cui
ruolo, già compromesso dalla monarchia assoluta, è stato definitivamente
esautorato dalla Rivoluzione francese e dal trionfo del centralismo assoluto.
Battersi per una restaurazione, ove possibile, o una rinascita dei corpi
intermedi è quindi l’obiettivo prioritario di una corretta azione politica
tradizionale.
E l’Autore conclude, andando nella esatta direzione opposta
alla cosiddetta “opzione Benedetto”, proponendo una scelta attiva, anziché di
ritirata: «Al cattolico non basta seguire la Chiesa, deve svolgere un’attività
politica dentro la società civile. E quest’attività politica, che punta
direttamente al bene comune naturale, mentre favorisce indirettamente l’attività
della Chiesa, è la politica del carlismo o legittimismo» (p. 225), cioè una
politica priva di deviazioni e di compromessi. Fermo restando che non bisogna
«confondere il carlismo con una ideologia e la Comunione Tradizionalista con un
partito» (p. 227) che offra meravigliose formule e promesse di futura felicità
materiale, essendo essa invece l’ultima sistematizzazione possibile della
dottrina che sosteneva la nostra società prima della distruzione
rivoluzionaria.
Davvero emozionante, infine, leggere le ultime due parole
che sigillano il saggio, semplici ed essenziali, ma del tutto inattese in un
saggio politico: «Laus Deo». E non si
può aggiungere altro.
Gianandrea de Antonellis
La recensione è apparsa sulla rivista "Veritatis Diaconia", n. 10, interamente scaricabile all'indirizzo http://www.samnium.org/veritatis-diaconia/item/67-veritatis-diaconia-n-10
Nessun commento:
Posta un commento