La narrativa come strumento educativo
Ci sono più persone che conoscono le vicende storiche attraverso
opere di fantasia che attraverso la lettura di saggi. Ad esempio, la guerra di
secessione americana (1861-1865) è più nota al grande pubblico attraverso film
come Nascita di una nazione (The Birth of a Nation) di David W.
Griffith (1915), pietra miliare della cinematografia statunitense, e Via col vento di Victor Fleming (1939) –
e naturalmente, almeno per il pubblico americano, dai romanzi ispiratori di
tali pellicole, The Clansman: A
Historical Romance of the Ku Klux Klan (1905) di Thomas Dixon Jr. e Gone with the Wind (1936) di Margaret
Mitchell – anziché dalla lettura di saggi storici incentrati su una fredda
sequela di date e più o meno lunghe trascrizioni di documenti.
Così, per affrontare la storia della nascita di Fabrizia, oggi
piccolo comune in provincia di Vibo Valentia, più che (od oltre che) a un
saggio storico, necessariamente limitato localmente nella diffusione e nella
riscossione dell’interesse, conviene invece affidarsi alla lettura di queste
pagine che ricostruiscono una storia, vissuta come un sogno dall’io narrante
della “cornice” del racconto.
Alla ricostruzione delle vicende urbanistiche si affianca
quella del tessuto sociale del paese, fatto di artigiani ed agricoltori, felici
della benevolenza del Principe e angustiati solo quando Fabrizio Carafa, costretto
a lunghe assenze, affiderà le terre ad amministratori disonesti.
«L’inizio dei guai» sostiene uno dei protagonisti «coincide
esattamente con la fine della gestione diretta da parte dei nobili proprietari.
Fabrizia era stata un’isola protetta fino a poco tempo fa. Questo è il punto da
cui partire per comprendere l’enigma, senza trascurare i recenti cambiamenti
avvenuti nel tipo di esazione di tributi» (p. 90).
La vicenda che si dipana e che tiene il lettore con il fiato
sospeso – una vicenda di soprusi e di angherie da parte di “fattori”, che
cercano di spremere il più possibile i poveri contadini – permette all’Autrice,
funzionario comunale, avvocato e soprattutto amante delle proprie radici
(grazie a lei è nato il sito www.vivifabrizia.it),
di ricostruire la vita quotidiana di Fabrizia agli inizi del Seicento: viene
alla luce il forte senso religioso della popolazione, il suo rispetto per la
famiglia e per la gerarchia familiare, ma anche quelle libertà concrete (libertà al plurale: opposte quindi alla libertà astratta – necessariamente sempre declinata
al singolare – che verrà imposta dal secolo successivo), come i diritti di legnatico
e di pascolo, che rendono possibile l’esistenza
pacifica di tutti gli strati della popolazione.
Al malgoverno degli amministratori disonesti (quanta attualità
c’è nelle pagine di Maria Cirillo!) viene contrapposta la cosiddetta logica del
“buon padre di famiglia” posta in essere dal Principe, il quale si guardava
bene dal vessare i suoi sudditi, poiché era perfettamente conscio che al loro benessere
avrebbe corrisposto il suo stesso benessere, alla loro ricchezza la sua
ricchezza, al presente e per le future generazioni.
La storia di Fabrizia – poco nota anche perché in qualche
modo “schiacciata” dalla fama di due paesi vicini e molto conosciuti per diverse
ragioni: Mongiana, sede del celebre complesso siderurgico borbonico e Serra San
Bruno, nei cui pressi si trova la prima Certosa della penisola italica, fondata
nell’XI secolo da San Bruno in persona, che vi morì – è però anche la storia
dell’intero Regno di Napoli (per non dire di tutto il mondo feudale): l’accentramento
del potere politico nella capitale e il conseguente allontanamento dell’aristocrazia
feudale dalle proprie terre nelle grandi città è la causa principale dell’indebolimento
socio-economico del Regno. In un periodo in cui, grazie all’unione personale della
Corona napoletana con quella della Monarchia Cattolica – ovvero del Re delle
Spagne, di cui anche Napoli faceva parte, entrando così in un “impero” sul
quale «non tramontava mai il sole» e di cui proprio Napoli era la città più
ampia, popolata e ricca, meta di tutti gli artisti del tempo, da Caravaggio a
Cervantes, da Lope de Vega a José de Ribeira, da Guido Reni a Francisco de
Quevedo e a Calderón de la Barca – e fermiamoci qui altrimenti la lista sarebbe
lunghissima) – il Regno napolitano avrebbe potuto svilupparsi enormemente, data
la privilegiata posizione geografica, al centro del Mediterraneo, assistiamo
invece ad un costante adagiarsi su se stessa dell’economia periferica, ad uno
sfruttamento delle risorse locali in favore del centralismo partenopeo.
Fabrizia, finché il suo “nume tutelare”, il fondatore eponimo è presente, gode
del benefico influsso della sua presenza e della sua paterna amministrazione;
quando il Principe si allontana, però, rischia di decadere ed è soltanto il
ritorno di Fabrizio Carafa in persona a riportare serenità e prosperità nel
borgo.
Romanzo educativo, si potrebbe dire, oltre che storico e
sociale, che si legge con entusiasmo e in cui l’analisi dei rapporti personali,
la descrizione dei luoghi e l’approfondita introspezione psicologica fa ben perdonare
alcune piccole imperfezioni nel linguaggio militare, del resto secondarie.
Il capitolo finale, Il
risveglio di Maria, ci riporta a un presente novecentesco, nella seconda
metà del secolo scorso: leggendolo, siamo pervasi da un senso di vera nobiltà, quella
dell’animo, indipendente da quella del sangue e contrapposta a quella del
denaro; le ultime parole della narrazione – «Il bambino protagonista del libro,
che doveva ancora finire di leggere, non possedeva nulla, eppure era molto
felice» – chiudono il romanzo regalando al lettore un senso di serenità che è
ancora più forte poiché la vicenda narrata non ha il classico “lieto fine”
delle fiabe di un tempo, ma termina in modo amaro o almeno agrodolce. La
felicità del bambino che «non possedeva nulla», però, regala al lettore una sincera
speranza per il futuro.
Gianandrea de Antonellis
Maria Cirillo, Fabrizia e il principe. La favola di un borgo, Planet Book,
Castellana Grotte (Bari) 2017, p. 304, € 15,90
Nessun commento:
Posta un commento