venerdì 15 luglio 2022

Perché non ho mai sentito parlare del Carlismo?

Perché non ho mai sentito parlare del Carlismo?

Considerazioni dopo una conferenza


È passato molto tempo da quanto i destini iberici e italici erano strettamente uniti...

Università d’estate dell’Osservatorio Van Thuân, Meta di Sorrento, luglio 2022.
Dopo la mia conferenza, dal titolo Il Carlismo: modello civile e dottrina politica, vengo avvicinato da un uditore, che mi domanda: «Come è possibile che io sia arrivato alla soglia dei settant’anni e non abbia mai, dico mai sentito parlare di Carlismo?».

Purtroppo – temo – molti altri presenti alla conferenza avrebbero potuto pormi la stessa domanda. E i pochi che in Italia conoscono il Carlismo, spesso lo considerano legato a mere questioni dinastiche, riguardante il solo Ottocento, e, soprattutto, qualcosa di esclusivamente spagnolo: tre ottimi motivi per ignorarlo.

Infatti, soprattutto nel settentrione della Penisola italiana, tutto ciò che “sa” di spagnolo è considerato con sufficienza, se non con disprezzo; invece, si ha un senso di riverenza e sudditanza verso tutto ciò che sa di “europeo” (cioè francese, inglese e tedesco). L’enorme cultura ispanica, che non è stata corrotta dalla “Riforma” protestante né pesantemente influenzata dall’Illuminismo, viene semplicemente ignorata.

Del resto l’Italia è il Paese di Manzoni, il cui romanzo I promessi sposi, fatto studiare in tutte le scuole di ogni ordine e grado, trasuda antispagnolismo da ogni pagina e costituisce una pietra miliare dello stesso percorso risorgimentale.

Ma l’Italia è anche il Paese dell’opera lirica: eppure nei numerosissimi teatri lirici della Penisola mai – dico mai – è approdata una – dico una – zarzuela. A teatro, Calderón de la Barca è noto al grande pubblico solo per il dramma La vita è sogno e Lope de Vega soltanto per Fuenteovejuna,

Sul versante della narrativa, tutti conoscono il personaggio il Don Chisciotte, ma hanno letto le sue avventure in adattamenti destinati a bambini e fanciulli, mentre il romanzo completo non viene quasi mai studiato integralmente da adulti. I nomi di José María de Pereda, di Emilia Pardo Bazán, di Ramón Valle-Inclán sono pressoché ignoti. Ma non va bene neppure agli scrittori liberali: La Regenta di Clarín è conosciuta solo agli specialisti di letteratura ispanica e solo alcuni recenti scrittori (da Arturo Pérez-Reverte a Carlos Ruiz Zafón) hanno costituito un fenomeno più editoriale che letterario.

Non parliamo poi della fiesta nacional, della corrida: basti vedere i commenti che la maggior parte degli Italiani lascia in calce ai video degli encierros (non solo quello di Pamplona) o dei recortes: parole piene di astio, che denotano nel miglior caso un’assoluta ignoranza della cultura ispanica e nel peggiore un asservimento alla mentalità animalista di stampo progressista (e questo nonostante quella stessa mentalità progressista, traumatizzata dall’effusione del sangue taurino, consideri poi tranquillamente l’aborto come un inalienabile diritto…).

Insomma, l’antispagnolismo, che in Italia dal romanzo di Manzoni (apparso inizialmente nel 1827) ebbe un fortissimo impulso e che si consolidò ben oltre il periodo risorgimentale, non riguarda solo il Carlismo, ma trascina nel baratro dell’ignoranza tutta la cultura ispanica: dalla Reconquista alla scoperta dell’America, dalla Monarchia cattolica alla Scuola di Salamanca, dal teatro del Siglo de Oro alla letteratura ottocentesca, dalla zarzuela alla corrida.

Il Carlismo, distillato del miglior pensiero politico ispanico, subisce l’identico destino e gli stessi tradizionalisti italiani, che si inchinano di fronte a Burke, a de Maistre e a Toqueville, che citano (spesso a sproposito) Chesterton e Belloc, sembrano non accorgersi né di Balmes, né di Vázquez de Mella, né di Elías de Tejada.

Il dramma è che forse davvero non li conoscono.

Perché chi li conosce viene affascinato dal loro pensiero e conquistato dal Carlismo. Oppure, se milita su un fronte opposto (progressista, moderato o conservatore, fa lo stesso), preferisce combatterli attraverso il silenzio, essendogli impossibile ribattere alle loro argomentazioni.

Gianandrea de Antonellis

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