giovedì 10 febbraio 2022

Memoria senza storia

Memoria senza storia

Un paradosso della scuola nel nostro paese



(Jan Steen (1626-1679), Una classe con il maestro addormentato, 1672)

 
I programmi scolastici di storia rimasti in vigore sul territorio della Repubblica Italiana sino al 31 agosto 2004 prevedevano che gli alunni studiassero per tre volte gli eventi che vanno dalla preistoria all’età contemporanea. Questa impostazione permetteva un approfondimento graduale delle nozioni e un irrobustimento progressivo delle conoscenze già acquisite, grazie al contributo di nuove capacità raggiunte con la maturazione. In quinta elementare si studiava quindi il Novecento e un ragazzino poteva benissimo preparare un piccolo elaborato sulla Grande Guerra, sull’ascesa del nazismo o sulla Guerra Fredda.
Tutto è cambiato con la Riforma Moratti, la quale ha stabilito che il primo ciclo d’istruzione preveda lo studio della storia una sola volta dalla terza elementare alla terza media. All’epoca si favoleggiava addirittura di radici cristiane da esaltare e da tutelare, ma nei fatti è iniziato un disastro...
Il prodotto delle decisioni prese allora è un rallentamento sistematico dell’apprendimento e della crescita personale degli studenti. In parole povere, oggi si può giungere tranquillamente alla fine delle medie senza sapere nulla di ciò che è accaduto sessanta o settant’anni fa. Il danno è già sotto gli occhi di tutti: alcuni ragazzi di prima media non hanno nemmeno idea di chi siano stati Napoleone, Mazzini o De Gasperi.
Domani è il 10 febbraio, il Giorno del Ricordo, cioè la data che dal 2004 è stata designata come solennità civile per ricordare le persecuzioni compiute contro le popolazioni italiche della sponda orientale dell’Adriatico e il loro triste esodo. L’anniversario scelto è quello del Trattato di Parigi (10 febbraio 1947).
Per introdurre al meglio la questione, già in data odierna molti insegnanti hanno iniziato a trattare l’argomento con i loro studenti, ma il problema è fattuale: il programma di prima media copre essenzialmente il Medioevo e quello di seconda si conclude con il Risorgimento. Non c’è da stupirsi, perciò, se tra le domande che possono susseguirsi durante le spiegazioni ci sono quesiti preoccupanti come: «Prof. ma chi è Mussolini?», «Prof. ma cos’è l’impresa di Fiume?» 
Se a lacune simili si aggiungono quelle che molti possono avere accumulato anche in Geografia (altra materia fondamentale, ma bistrattata), il quadro è angosciante. Come si possono spiegare in una o due ore le vicende delle foibe a dei giovanissimi che non sanno cos’è successo nel mondo dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente? È giusto che un undicenne sia privato, così, anche della possibilità di comprendere il suo tempo?
Nel 1995 la scrittrice istriana Romanita Rigo Gusso, nativa di Pinguente (oggi Croazia), ha pubblicato un libro che si intitola La casa natale nel paese perduto. Atmosfere istriane e dalmate, che a suo tempo nel Veneto è stato fatto circolare negli istituti scolastici, ma oggi al termine delle elementari e in prima media quanti possono leggere criticamente e capire davvero un testo simile? Quello delle foibe è un tema di estrema complessità, che per essere analizzato necessiterebbe anche di una conoscenza basilare della storia della Repubblica Veneta, tuttavia nei libri di scuola del 2022 a quella gloriosa entità statale non sono dedicati che pochi paragrafi: le solite quattro righe sulle repubbliche marinare, due parole sulla battaglia di Lepanto (se va tutto bene...) e un fugace cenno al Trattato di Campoformido sono tutto ciò che i sussidiari contengono rispetto a un percorso storico straordinario durato 1100 anni!
Riprendendo il titolo del volume della professoressa Rigo Gusso, il mondo di tante comunità venetofone dell’Adriatico orientale è tristemente andato perduto, ma a giudicare dalla situazione attuale delle nostre scuole viene da pensare che ci sia il rischio di perdere anche l’Italia intera. Francisco Elías de Tejada diceva che i popoli non sono nazioni, ma «storia accumulata» e lo scempio che è stato compiuto e che continua a rinnovarsi è un colpo al cuore della cultura della Penisola.
I politici si dilungano spesso sul dovere della memoria, ma sono scollegati dalla realtà. Come si può chiedere ai ragazzi di ricordare adeguatamente i genocidi del Novecento se, proprio negli anni in cui più dovrebbero interiorizzare dei concetti fondamentali, essi non hanno materialmente la possibilità di studiarli a livelli accettabili? Come si può lasciare che alle elementari gli orrori del secolo scorso siano affrontati solo tramite letture isolate, ossia non inserite in un programma organico?
Da decenni, da più parti, si invoca l’insegnamento di una storia che sia globale e al contempo si chiede l’inserimento nei programmi della storia locale delle diverse province, ciononostante la storia che si insegna a scuola è ancora eurocentrica, anzi, in gran parte italocentrica, ma anche scollegata dalle storie municipali: dagli anni Novanta al presente il programma si è semplicemente impoverito. 
«Ti resta l’Istoria; questa ti basterà ne’ tuoi viaggi. Leggila e rileggila attentamente» scriveva Vittorio Barzoni (1767-1843): leggila e rileggila attentamente, anche più di tre volte!
Non c’è da stupirsi se i ragazzi non hanno ideali, non è colpa loro se la scuola non li aiuta a raggiungere la maturità politica, indispensabile per ogni forma di partecipazione. Sembra che negli anni passati i differenti partiti abbiano agito come una sola forza per danneggiare l’istruzione quanto più era possibile. A pensar male, viene da credere che l’idea di una gioventù meno preparata e meno pronta a leggere la realtà (ergo potenziale vittima dei demagoghi di ogni sorta) risulti gradevole a diversi politici...
Il sistema che è andato a crearsi ha persino un risvolto anti-egualitario: i figli di genitori colti o dotati di maggiori possibilità imparano prima e meglio dei loro compagni meno fortunati senza che la scuola dell’obbligo riesca a rompere del tutto questo cerchio. E se a tali costatazioni si somma il fatto che il tasso di abbandono scolastico supera ancora il 10%, allora si possono avanzare anche delle ipotesi decisamente verosimili per spiegarsi certi abbassamenti del livello di cultura generale che capita di registrare presso coloro che appartengono alle nuove generazioni.
Occorre impegnarsi per chiedere un cambiamento, bisogna protestare con i mezzi che si hanno a disposizione e mettere in atto delle forme di resistenza culturale.
Senza uno studio completo e ordinato della storia non ci possono essere né commemorazione, né identità, né quella consapevolezza che potrebbe aiutare a guardare al futuro.

Riccardo Pasqualin

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