Alexandra Wilhelmsen, La formación del pensamiento político del Carlismo (1810-1875), Actas Historia, Madrid 19982, p. 616, s.i.p.
I punti cardine provenienti dal realismo pre-carlista consistevano nella religiosità; nella visione sacrale, anziché secolare, della società; nella preferenza per l’esperienza e la prassi contro la speculazione e la teoria; la preferenza per il concreto invece che l’astratto; e la convinzione che le istituzioni di un Paese siano più importanti della legislazione. Inoltre era già presente la concezione della società come una rete complessa di comunità unite da interessi e valori, anziché una massa amorfa di individui isolati; si sottolineava l’importanza della famiglia, intesa come nucleo legale, economico e politico alla base della società; il rifiuto naturale di ogni rappresentazione politica basata su un partito con un programma determinato, giusta la concezione che il foro politico debba essere il riflesso del mondo reale e non il contrario; il rispetto degli usi e dei costumi ed infine la certezza che la società viva meglio quando il governo centrale è ridotto ai minimi termini possibili. Il realismo, nato in funzione antirivoluzionaria, inizialmente in termini difensivi (cioè negativi) elaborò comunque una serie di concetti che vennero ereditati dal Carlismo sull’essenza della nazione spagnola, sul costituzionalismo, sulla sovranità politica, sul potere del Parlamento, sul regionalismo, sul ruolo della religione e della Chiesa nella vita pubblica; e sul pensiero rivoluzionario di matrice illuminista (comprese le Cortes di Cadice, la Costituzione del 1812 e il Triennio liberale).
In particolare, inizialmente i termini di nazione e patria potevano parere equivalenti ed essere utilizzati come
sinonimi, ma il concetto – di patria o nazione
che fosse – per i realisti era molto concreto ed includeva oltre a territorio e
popolazione, anche la religione, le leggi fondamentali, la monarchia, i
Parlamenti locali e il sovrano legittimo (nel senso di legittimità sia di
origine che di esercizio). Così, lo stesso concetto di costituzione poteva
essere accettabile, se la si considerava come un breve sunto delle leggi
fondamentali tradizionali, cioè già da tempo presenti: non una nuova legge “di
fondazione”, bensì di compilazione delle antiche leggi del Regno.
È con il passare delle decadi – al tempo di Carlo VII – che
si giunge alla nota elaborazione dottrinaria carlista «Dios, Patria, Fueros, Rey»,
che postula la visione sacrale della società (confessionalità dello Stato,
unità religiosa, indipendenza della Chiesa); lo spirito nazionale (per cui era
più importante l’indipendenza culturale dalle idee rivoluzionarie di matrice
francese che il mantenimento delle colonie o il riscatto di Gibilterra); il
rispetto delle autonomie e la limitazione del potere centrale; e, infine, la
legittimità di origine e di esercizio, quest’ultima una caratteristica del
tradizionalismo ispanico: il Re, cui il principio di legittimità di origine
assicurava il trono da moti rivoluzionari (il ricordo delle “successioni” dei
Napoleonidi era ancora vivo), doveva essere rispettoso delle autonomie e dei
diritti locali e soprattutto aderire nella gestione concreta del proprio operato
ai principi basilari della tradizione ispanica, pena la decadenza.
Per stabilire le sue conclusioni, l’Autrice non solo ha
usato una impressionante quantità di fonti, ma ha cercato di differenziare, per
quanto possibile, i sentimenti dei vari settori sociali che hanno sostenuto la
causa, dai pretendenti carlisti al trono fino al popolo che combatteva sotto le
loro bandiere, evidenziando anche le posizioni ideologiche dei personaggi
principali del Carlismo.
La struttura del saggio riesce a coniugare lo sviluppo
storico del pensiero carlista con la sua attenta esposizione dottrinaria: a
dispetto del gran numero di pagine si tratta di una lettura scorrevole anche
per il lettore di cultura italiana. La duplice analisi dei capisaldi del
pensiero carlista (Diso, Patria Fueros y
Rey), prima dal punto di vista di Carlo VII, quindi da quello dei
principali scrittori tradizionalisti contemporanei, permette di apprezzare il
tentativo di applicare alla realtà questi principi immortali e fornisce un
quadro pressoché esaustivo della pubblicistica politica tradizionalista del
tempo.
Gianandrea de Antonellis
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