giovedì 11 giugno 2020

La formación del pensamiento político del Carlismo (1810-1875)

Alexandra Wilhelmsen, La formación del pensamiento político del Carlismo (1810-1875), Actas Historia, Madrid 19982, p. 616, s.i.p.


Il saggio di Alexandra Wilhelmsen, frutto di approfondite ricerche durate un ventennio, è un tentativo riuscito e brillante di sistematizzare l’ideologia della controrivoluzione spagnola nel lungo arco di tempo che intercorre tra le cortes di Cadice, da cui sfociò la Costituzione del 1812 e la fine della terza guerra carlista. Impostato cronologicamente, il saggio segue lo sviluppo del pensiero carlista: fin dall’occupa­zio­ne francese, ma soprattutto a partire dalla prima guerra carlista, i legittimisti spagnoli svilupparono il nucleo dottrinale elaborato dai monarchici tradizionalisti durante il regno di Ferdinando VII. Di fatto, non ne rifiutarono alcun punto di partenza, né aggiunsero alcun ulteriore concetto essenziale. Ciononostante, la sua ideologia non era predeterminata alla morte del monarca, poteva evolversi in direzioni diverse, e il passare del tempo ha solo accentuato alcuni passaggi, mentre altri venivano gradualmente dimenticati. Vale a dire che il nucleo dottrinario carlista fu ereditato dal realismo politico del tempo di Ferdinando VII e la questione successoria trovò in Don Carlos un difensore di quel pensiero tradizionale, molto diffuso in tutto il Paese, che, al tempo di Carlo VII, si era perfettamente sviluppato e dottrinalmente delineato lungo quasi mezzo secolo da generazioni di pensatori che individuarono quali elementi considerare fondamentali e quali accessori, nonché come adattare i postulati più importanti alle diverse situazioni politiche e sociali che si andavano a mano a mano delineando, traducendo in termini più concreti alcune idee eccessivamente astratte e mettendo in secondo piano elementi minori. Ciò avvenne in particolar modi quando, durante la terza guerra carlista, governò direttamente i territori della Spagna settentrionale.

I punti cardine provenienti dal realismo pre-carlista consistevano nella religiosità; nella visione sacrale, anziché secolare, della società; nella preferenza per l’esperienza e la prassi contro la speculazione e la teoria; la preferenza per il concreto invece che l’astratto; e la convinzione che le istituzioni di un Paese siano più importanti della legislazione. Inoltre era già presente la concezione della società come una rete complessa di comunità unite da interessi e valori, anziché una massa amorfa di individui isolati; si sottolineava l’importanza della famiglia, intesa come nucleo legale, economico e politico alla base della società; il rifiuto naturale di ogni rappresentazione politica basata su un partito con un programma determinato, giusta la concezione che il foro politico debba essere il riflesso del mondo reale e non il contrario; il rispetto degli usi e dei costumi ed infine la certezza che la società viva meglio quando il governo centrale è ridotto ai minimi termini possibili. Il realismo, nato in funzione antirivoluzionaria, inizialmente in termini difensivi (cioè negativi) elaborò comunque una serie di concetti che vennero ereditati dal Carlismo sull’essenza della nazione spagnola, sul costituzionalismo, sulla sovranità politica, sul potere del Parlamento, sul regionalismo, sul ruolo della religione e della Chiesa nella vita pubblica; e sul pensiero rivoluzionario di matrice illuminista (comprese le Cortes di Cadice, la Costituzione del 1812 e il Triennio liberale).

In particolare, inizialmente i termini di nazione e patria potevano parere equivalenti ed essere utilizzati come sinonimi, ma il concetto – di patria  o nazione che fosse – per i realisti era molto concreto ed includeva oltre a territorio e popolazione, anche la religione, le leggi fondamentali, la monarchia, i Parlamenti locali e il sovrano legittimo (nel senso di legittimità sia di origine che di esercizio). Così, lo stesso concetto di costituzione poteva essere accettabile, se la si considerava come un breve sunto delle leggi fondamentali tradizionali, cioè già da tempo presenti: non una nuova legge “di fondazione”, bensì di compilazione delle antiche leggi del Regno.

È con il passare delle decadi – al tempo di Carlo VII – che si giunge alla nota elaborazione dottrinaria carlista «Dios, Patria, Fueros, Rey», che postula la visione sacrale della società (confessionalità dello Stato, unità religiosa, indipendenza della Chiesa); lo spirito nazionale (per cui era più importante l’in­di­pen­denza culturale dalle idee rivoluzionarie di matrice francese che il mantenimento delle colonie o il riscatto di Gibilterra); il rispetto delle autonomie e la limitazione del potere centrale; e, infine, la legittimità di origine e di esercizio, quest’ultima una caratteristica del tradizionalismo ispanico: il Re, cui il principio di legittimità di origine assicurava il trono da moti rivoluzionari (il ricordo delle “successioni” dei Napoleonidi era ancora vivo), doveva essere rispettoso delle autonomie e dei diritti locali e soprattutto aderire nella gestione concreta del proprio operato ai principi basilari della tradizione ispanica, pena la decadenza.

Per stabilire le sue conclusioni, l’Autrice non solo ha usato una impressionante quantità di fonti, ma ha cercato di differenziare, per quanto possibile, i sentimenti dei vari settori sociali che hanno sostenuto la causa, dai pretendenti carlisti al trono fino al popolo che combatteva sotto le loro bandiere, evidenziando anche le posizioni ideologiche dei personaggi principali del Carlismo.

La struttura del saggio riesce a coniugare lo sviluppo storico del pensiero carlista con la sua attenta esposizione dottrinaria: a dispetto del gran numero di pagine si tratta di una lettura scorrevole anche per il lettore di cultura italiana. La duplice analisi dei capisaldi del pensiero carlista (Diso, Patria Fueros y Rey), prima dal punto di vista di Carlo VII, quindi da quello dei principali scrittori tradizionalisti contemporanei, permette di apprezzare il tentativo di applicare alla realtà questi principi immortali e fornisce un quadro pressoché esaustivo della pubblicistica politica tradizionalista del tempo.

Gianandrea de Antonellis


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