martedì 27 febbraio 2018

Finalmente in lingua italiana gli “Escolios” di Gómez Dávila in versione integrale

Nicolás Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, Gog, Roma 2017, p. 440, € 15

«Gómez Dávila non è politicamente scorretto, ma di più, metafisicamente scorretto, con eleganza». La massima di Marcello Veneziani a proposito dello scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila (Bogotà, 18 maggio 1913 – 17 maggio 1994) potrebbe provenire da uno degli innumerevoli Escolios a un texto implícito che la coraggiosa casa editrice romana Gog ha iniziato a riprodurre integralmente. Opera in cinque volumi apparsi tra il 1977 e il 1992, di cui il pubblico di lingua italiana ha potuto assaporare solo tre brevi antologie, due delle quali pubblicate da Adelphi (In margine a un testo implicito, Milano 2001; Tra poche parole, 2007) e una da Ar (Pensieri antimoderni, Padova-Salerno 2008), sarà editorialmente completata con uscite previste ogni sei mesi.
Etichettato – non senza una certa faciloneria – come “il Nietzsche della Colombia” o un “Cioran più salubre e meno nichilista”, Gómez Dávila fu quello che si può definire – ed egli stesso si definiva – un reazionario puro.
A tale fondamentale aspetto dello scrittore colombiano questa rivista ha recentemente dedicato un approfondito saggio di Miguel Ayuso (Conservazione, reazione e tradizione. Una riflessione sull’opera di Nicolás Gómez Dávila, «Veritatis Diaconia», n. 5), in cui si sottolineava come spesso non risulti facile distinguere il reazionario dal conservatore o dal tradizionalista, se si considerano dal punto di vista dei comportamenti come da quello delle idee o anche dei movimenti in cui si incarnano. Il saggio di Ayuso aveva cercato di chiarire queste differenze, senza nascondere le loro somiglianze: la dialettica classica, vale a dire perenne, tra due fenomeni che si somigliano mette in risalto gli elementi di differenza; mentre tra altri che si presentano come diversi, sottolinea ciò che li accomuna. Inoltre, a partire da alcuni elementi trovati nell’opera complessa e singolare del grande scrittore e pensatore Nicolás Gómez Dávila, si comprende con molta facilità come questo sforzo chiarificatore cerchi di profilare nel migliore dei modi la sua caratterizzazione intellettuale. Allora la richiesta del cattedratico spagnolo fu quella di tradurre i numerosi escolios che citava utilizzando la versione ufficiale pubblicata: ma la mancanza sia di una traduzione completa – ipotesi impensabile per uno studioso di lingua spagnola! – che del testo a fronte rendevano difficoltosa l’operazione, che fu risolta proponendo una traduzione e fornendo al lettore il testo originale in nota.
Ora, finalmente, questa gravissima lacuna è stata colmata, evitando la frammentazione che si prospettava (pare – la fonte è sempre Marcello Veneziani – che la casa editrice milanese volesse riproporre con gli Escolios la stessa operazione intrapresa con successo con i Parerga e paralipomena di Arthur Schopenhauer, saccheggiati e proposti in una serie di libretti dal titolo L’arte di…) e dando al lettore di lingua italiana la possibilità di accedere al capolavoro di Gómez Dávila in versione integrale. Si tratta di un’opera che è – a dispetto della sua circolazione dìnella Penisola italiana – già considerata un classico, data l’intensità dei suoi aforismi e che deve la luce grazie alla traduzione di Loris Pasinato. Il testo edito da GOG si avvale inoltre dei contributi di Gennaro Malgieri, Gabriele Zuppa e Antonio Lombardi.
Ogni libro, è stato detto, è una lettera indirizzata a ciascun lettore, che non lo legge mai allo stesso modo, forse perché quidquid recepitur ad modum recipientis recepitur. Pertanto, a ragione, Gómez Dávila scrive che «senza un lettore intelligente non ci può essere un testo acuto». Quest’ultimo, dunque, deve certamente svilupparsi con una scrittura concentrata che non si può definire isolata, in quanto sono intrecciati, cementati (da qui nasce il “testo implicito”), perché la separazione esistente tra un aforisma e l’altro non può che ostacolare l’integrazione, permettendo la moltiplicazione delle letture attraverso la diramazione delle connessioni. Quindi solo su alcuni dei suoi testi si può costruire una interpretazione. Ma con quegli stessi testi se ne potrebbe creare un’altra. Infine, con ulteriori testi, sarebbe possibile raggiungere sia la prima che la seconda, oppure addirittura una terza. Urge, di conseguenza, la lettura diretta e completa.
Il che rende pressoché impossibile tentare una silloge: è necessario andare direttamente alla fonte – e quindi a questa preziosa edizione in lingua italiana, la cui lettura fa sperare che il testo non finisca mai, anziché giungere alla sua conclusione – ma per dare almeno un’idea dell’intelligenza, della brillantezza e della profondità delle massime vale la pena riportare alcuni escolios, sottolineando il fatto che essi sono tratti dalla stessa pagina – la 300 – aperta a caso:
«Lo scrittore moderno scrive un romanzo con quello che Balzac esauriva in un paragrafo»
«Il Concilio Vaticano II sembra meno un’assemblea episcopale che un conciliabolo di manifatturieri impauriti per aver perso la clientela»
«Il Cristo dei moderni è il figlio di un falegname che la propria eloquente rivendicazione della giustizia sociale erge a prototipo dell’intelligenza rivoluzionaria. Oppure, alternativamente, egli è simbolo mitico dell’umanità divinizzata. Come sono stolti, tuttavia, quei lettori che non sono intimiditi da questo strano personaggio che attraversa lande evangeliche come una burrasca notturna. L’agitatore crocifisso assomiglia più al Pantocratore bizantino che all’esempio delle assistenti sociali».
«Essendo l’irrecusabilmente gratuito, ciò che è estetico deve servire da canone supremo per il pensiero. Dobbiamo utilizzare le categorie estetiche come criterio di qualunque interpretazione storica. Ciò che è estetico è la manifestazione sensibile e profana della grazia».
Come si può notare, l’Autore spazia dalla analisi letteraria alla cronaca coeva, da un ragionamento sulla religione a questioni di estetica senza soluzione di continuità. Sempre sottostante permane la sua impostazione “reazionaria”: il disprezzo per la vuota ampollosità dello scrittore contemporaneo, la constatazione dello scivolamento verso un livello inferiore del Vaticano II (cioè pastorale rispetto a quello dottrinario che era stato proprio del Concilio Vaticano I); in un mondo che esalta la figura di Cristo non come Redentore, ma come “primo socialista della storia” Gómez Dávila oppone la grandiosità dei mosaici bizantini, il Pantocrator, il Creatore di tutto che con la propria Maestà supera di un balzo il ristretto ambito in cui lo vogliono collocare sociologi ed antropologi della religione o teologi modernisti. E la pagina (solo la pagina 300!) termina con l’appello alle coscienze affinché si rivolgano, dopo decenni (o secoli?) di volgarità alla contemplazione del Bello. È un caso che tale Bello sia evocato subito dopo aver impresso nel lettore la grandiosa figura del Pantocrator disegnato su uno sfondo d’oro in una cupola bizantina? È difficile credere ad una casualità. E per questo, ancor prima di giungere all’ultima pagina di un testo che può essere letto anche al contrario, per come è stato concepito, si sospira l’uscita del volume successivo.

Gianandrea de Antonellis

Per gentile concessione della rivista «Veritatis Diaconia», n 7
http://www.samnium.org/veritatis-diaconia




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