martedì 17 ottobre 2017

Il palindromo di Maurensig

Il palindromo di Maurensig


Leggo un romanzo di Paolo Maurensig, L’oro degli immortali, interessante anche se non all’altezza delle sue opere migliori – un po’ troppo commerciale, oserei dire – e mi imbatto in una frase:
Osservai la soglia, che recava il solito palindromo: Si sedes non Is, ovvero «Se siedi non procedi», ma anche «Se non siedi procedi».[1]
Storco un po’ il naso: possibile che un autore raffinato come Maurensig possa incappare in un errore simile, utilizzando il termine palindromo (parole che lette al contrario mantengono lo stesso significato) al posto di bifronte (parole che lette al contrario hanno senso compiuto, ma diverso)?
Certo, non siamo ai livelli di Dan Brown, che in Inferno inanella una serie di strafalcioni grossolani: infatti – tra i molti altri errori – descrive il Purgatorio dell’affresco di Domenico di Michelino in Santa Maria del Fiore come una struttura a spirale (cap. 57), quando invece è a balze, dimostrando di non averlo nemmeno guardato; parla della pena degli invidiosi affermando che essi «devono salire a occhi chiusi» mentre invece, proprio perché sono con le palpebre cucite, stanno fermi (ibid.), dimostrando così di non aver mai letto Dante (e nemmeno osservato con attenzione il dipinto!); descrive il primo movimento della Sinfonia Dante di Franz Listz dicendo: «Il coro della sinfonia – composto da un centinaio di elementi – stava intonando un passaggio molto noto, articolando chiaramente ogni sillaba del cupo testo di Dante» (cap. 90), parlando del; peccato che quel “passaggio molto noto” sia esclusivamente orchestrale, poiché il coro interviene solo nel terzo movimento… dimostrando così di non aver mai ascoltato la Sinfonia Dante neppure su YouTube…
Ma, se da un americano che bada al sodo (cioè alle vendite) ci si può aspettare una certa faciloneria, dal raffinatissimo autore de La variante di Lüneburg questo scivolone risulta imprevisto: anche perché al termine non corretto (in fondo c’è anche chi usa palindromo come sinonimo di bifronte) si accompagna un aggettivo, solito, che non sembra aver ragion d’essere, visto che è la prima volta che quel gioco di parole viene mostrato. Forse faceva riferimento a una precedente frase, cassata senza tener conto del richiamo?
Quando feci notare le tante incongruenze del romanzo di Dan Brown ad un amico collaboratore della Mondadori, stupito dal fatto che le tante persone ringraziate dall’autore, tra cui vari storici dell’arte, non avessero rivisto il testo, segnalandogli gli errori più evidenti, mi sentii rispondere: «In realtà la questione va rovesciata: le persone ringraziate sono quelle che hanno effettivamente costruito il romanzo, creando i colpi di scena. Brown, che si picca di essere un intenditore d’arte, ha scritto solo i passaggi sulla musica e la pittura, con i risultati che hai visto». Per altro, gli strafalcioni in storia della musica e dell’arte erano ben poco di fronte alle questioni etiche agitate dal romanzo, per cui era naturale che passassero in secondo piano…
Ma la risposta dell’amico mi aprì gli occhi su un mondo – quello degli scrittori ombra – poco noto. A giudicare dalla pagina italiana di Wikipedia, infatti, sembra che siano soprattutto i politici a far uso di ghost writers per scrivere le proprie memorie; forse c’è una certa reticenza a parlare dell’argomento, se lo stesso titolo del film di Roman Polański The Ghost Writer (2010) è stato tradotto come L’uomo nell’ombra per renderlo non solo più accattivante, ma forse anche più comprensibile.
Tornando a Maurensig, quell’errore – o almeno quella mancata finezza – e quell’aggettivo rimasto slegato dal contesto, presenti in una stessa frase, anzi, addirittura fianco a fianco, possono far sorgere nell’umile, ma non disattento lettore, un dubbio. Casualità? Forse. Ma in un romanzo il cui l’Io narrante per ben due volte dichiara esplicitamente che «non avevo mai creduto al caso» (cap. 32)«le casualità così strane non esistono» (cap. 44) si è spinti a pensare ad altro.
Come dicevo, il romanzo non è all’altezza degli altri: è un affascinante thriller esoterico incentrato sull’alchimia, in cui fa addirittura capolino il Conte di Saint Germaine e che presenta nel ruolo del cattivo un ex ufficiale delle SS (divisione Ahnenerbe, quella delle ricerche occulte). Scelta, quest’ultima, decisamente un po’ banale: infatti il fascino delle nere divise naziste sembra essere divenuto imprescindibile per ogni buon thriller di ambiente bibliofilo (da Madrid 1605 a La formula Stradivari, da Gli orfani del male a L’Ordine del Sole Nero). Ma questa è un’altra questione…
A questo punto diventa illuminante la visione casuale – se appunto esiste casualità… – di un episodio dei Simpson: ne Il colpo del libro (serie XXII, ep. 6), in originale The book job, con riferimento a The Italian job nel titolo e alla saga Ocean’s eleven nella trama, si prende in giro bonariamente (ma non troppo) l’industria del best sellers. Le opere sono scritte da una equipe di autori sfruttata e sottopagata:
Le trame si basano su ricerche di mercato e le pagine vengono sfornate da una stanza piena di studenti di letteratura impasticcati, pronti a tutto per un lavoro. Gli editori fanno soldi a palate e i bambini ignari ottengono dieci libri all’anno del loro autore preferito.
e la stessa vicenda biografica del (preteso) autore è anch’essa frutto di pura fantasia:
– Qual è il tuo passato fasullo?
– Sono cresciuta in un circo itinerante. Mia madre era la direttrice del circo, mio padre era il barbiere dei leoni. Ho scritto la mia prima storia su un pacchetto di popcorn appiattito con il rossetto dei pagliacci.
Viene alla mente lo straziante racconto – anch’esso una sorta di favola moderna – sull’iniziale povertà nera dell’autrice più ricca della storia della letteratura contemporanea, che al tempo in cui scrisse il suo capolavoro era funzionaria di un fondo delle Nazioni Unite e quindi si presume non dovesse essere costretta a vivere con un caffelatte al giorno…).
Simpson a parte (ma bisogna ricordare che le trame dei loro episodi molto spesso rispecchiano la società reale) poniamoci nei panni di un editore cui si presenta il signor Mario Rossi, il quale ha scritto un buon romanzo o un ottimo saggio, che quasi certamente, però, rimarrebbe invenduto. Che fare? Rimandare a casa insoddisfatto l’ignoto scrittore? Certo, se invece di Mario Rossi avesse un altro nome…
«Quella casa editrice, un giorno, di quel grande scrittore pubblicherà anche la lista della spesa. E riuscirà a vendere!» mi disse un giorno Mario Scognamiglio, appassionato bibliofilo e raffinato librario antiquario (sue le Edizioni Rovello e la rivista «L’Esopo»). Allora perché, anziché una lista della spesa, non dare alle stampe un bel saggio di estetica o un romanzo sull’editoria, anche se scritto da altri, utilizzando la griffe del grande autore, in modo da attrarre i suoi numerosissimi estimatori? Quindi, conti alla mano, perché non proporre al romanziere o saggista sconosciuto un bel contratto, che da un lato prevede un utile sulle vendite e dall’altro la rinuncia a vedere stampato sulla copertina il proprio nome? Inoltre, nel caso di un saggio, lo si gratificherebbe di una dotta introduzione; in quello di un romanzo, di un sentito – e vorrei vedere! – ringraziamento.
A questo punto, che significato dare alla lunga lista di ringraziamenti presente in Inferno di Dan Brown? Oppure, cosa ci può suggerire la frase sibillina (ma non troppo): «Il mio primo grazie è per Adele Grisendi: senza il suo aiuto generoso e decisivo, questo libro non sarebbe mai nato» che troviamo in chiusura del romanzo storico I tre inverni della paura di Giampaolo Pansa?
Volendo pensare male (che, come si sa, pur essendo un peccato spesso permette di cogliere nel giusto), pensando palindromi e bifronti, potremmo leggerla inversamente, ricavandone un significato diverso: «A Giampaolo Pansa, senza il cui generoso e decisivo prestito del nome, questo libro non sarebbe stato mai pubblicato. Adele Grisendi».
Gianandrea de Antonellis



[1] Paolo Maurensig, L’oro degli immortali (Morganti, Udine 2010), cap. 39, p. 254.

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