giovedì 4 settembre 2025

L’Ispanità contro la Grande Sostituzione

Il problema di fondo è l’apostasia della maggioranza degli europei, che hanno rinnegato Cristo Re. La reazione etnica o razziale è un errore e una concessione al nemico. La risposta carlista: la riconquista spirituale sotto la bandiera dell’Ispanità, cioè del cristianesimo

Nel cortile da comari della moderna Torre di Babele che gli ingegneri sociali del globalismo intendono costruire, veniamo accusati di allarmismo quando segnaliamo un fatto di evidenza palpabile: la Spagna, e con essa tutta l’Europa, si sta suicidando.

Non stiamo attraversando una crisi economica o politica, bensì religiosa, un’apostasia con conseguenze sulla civiltà. La cosiddetta “immigrazione di massa” non è la causa della nostra malattia, ma un sintomo letale di una malattia spirituale molto più profonda.

La sostituzione della popolazione che sta avanzando a un ritmo forzato non si comprende dai parametri razziali, ma da quelli religiosi e culturali. È un errore, e una concessione al nemico, inquadrare la battaglia in termini etnici o razziali.

Il problema di fondo è che l’Europa ha rinnegato la sua anima, che è Cristo Re.

Lo diceva Leone XIII: escludendo Dio dalla vita pubblica «ne consegue un tale diluvio di mali che l’umanità non ne ha mai sperimentati tanti e così gravi» (Sapientiae christianae, 1890). Oggi vediamo quel diluvio nelle strade delle nostre città: sradicamento, nichilismo, immigrazione di massa…

Come ha avvertito lo scrittore Juan Manuel de Prada già nel 2018: «L’immigrazione di massa è usata come ariete per dissolvere le identità nazionali e promuovere l’avvento di un uomo-massa sradicato, facilmente manipolabile dai poteri oligarchici» («XL Semanal»). Questo uomo-massaè il prodotto finale di una società che ha escluso Dio dalle sue piazze, dalle sue leggi e dai suoi cuori.

La natura aborre il vuoto. Un continente che ha gettato a mare l’eredità di Roma e Atene; che ha trasformato le sue chiese in musei e le sue tradizioni in folklore per turisti; Quel continente sarà inevitabilmente occupato da popoli con una (falsa) fede, con (errate) convinzioni e una natalità vigorosa (nonché aiutati dagli europei bianchi).

I musulmani che vengono sulle nostre coste non sono il problema, ma la conseguenza. Il problema è l’apostasia degli europei che hanno preferito il vitello d’oro del consumismo e dell’edonismo alla Croce che ha forgiato la nostra civiltà.

L’arcivescovo Marcel Lefebvre aveva già sottolineato questa dinamica: «La riforma conciliare fa parte di un desiderio di adattamento al mondo moderno che porta alla distruzione del Regno di Nostro Signore». Questa distruzione, quest’apostasia, apre la porta ad altri “regni”.

Di fronte a questo panorama, alcuni reagiscono inquadrando la battaglia in termini etnici o razziali (per non dire razzisti o xenofobi), come nazionalisti, identitari o fascisti. Una tale reazione non solo è fuorviante, ma alimenta il mostro globalista, dandogli più carburante per continuare con la Grande Sostituzione che intendono combattere. Coloro che promuovono questa reazione controproducente vedono nell’Ispanità un problema o le vestigia di un passato di cui vergognarsi. Ma niente è di più lontano dalla verità.

L’Ispanità è parte della soluzione. Non l’Ispanità come idea folcloristica o club di nazioni liberali, ma l’Ispanità come Christianitas minor (Elías de Tejada): ciò che rimane dell’antica Cristianità, cioè il mondo cattolico, universale e missionario.

L’Ispanità sarebbe l’antidoto perfetto contro il globalismo senz’anima promosso dalla Grande Sostituzione e anche contro il razzismo di coloro che fingono di combattere il globalismo ma che, come utili idioti, fanno il suo gioco. Mentre l’attuale progetto europeo si basa su una burocrazia vorace e su mercati globalisti, il progetto di Ispanità si basava, con le sue luci e le sue ombre, sull’evangelizzazione e sulla creazione di uno spazio politico unito dall’Altare e dal Trono.

Alcuni nazionalisti o identitari sostengono che l’Ispanità non esiste più, essendo stato inghiottito dalle sette protestanti, dalla mentalità liberale e dalla moderna anticultura (come il reggaeton). Ma queste sono piuttosto le conseguenze di una gerarchia modernista che ha rifiutato la predicazione di Cristo per gettarsi nelle braccia della teologia della falsa liberazione o per ridurre la fede nei canoni ristretti del mondo moderno. Queste sono le conseguenze del modernismo conciliare che essi stessi difendono, «incoronando le cause e impiccando le conseguenze», secondo l’acutissima frase di Vázquez de Mella. Un modernismo che comunque, nonostante quello che oggi ci può sembrare, non prevarrà.

L’unità religiosa è il fondamento più solido dell’unità politica. L’Ispanità è quello spazio in cui l’integrazione non significa diluizione in un multiculturalismo senza principi, ma adesione a una comunità superiore di popoli uniti dalla stessa Fede e dallo stesso scopo trascendente.

Dobbiamo riaprire le porte alla Grazia per far rivivere la nostra civiltà. Dobbiamo tornare alle essenze che ci hanno definito: la Tradizione, l’Altare e il Trono. L’Ispanità, la Christianitas minor, non costituisce un problema, ma è un faro che può riportarci verso un porto sicuro in mezzo a questa tempesta che minaccia di affondare la nave dell’Occidente.

Pertanto, la risposta carlista alla Grande Sostituzione non è né un ripiegamento xenofobo (come sostengono i nazionalisti) né un multiculturalismo relativista (come sostengono i globalisti), bensì una riconquista spirituale. Riconquista sotto la bandiera dell’Ispanità, cioè sotto la Croce.

Josep de Losports
Círculo Tradicionalista de Barcelona Ramón Parés y Vilasau

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