Leighton D. Reynolds, Nigel G. Wilson, COPISTI E FILOLOGI. La tradizione dei classici dall'antichità ai tempi moderni, Antenore, Padova 2016, p. 296 - € 26
Se c’è un testo che uno studioso di filologia dovrebbe leggere per iniziare la sua formazione è Copisti e filologi di Reynolds e Wilson, la cui terza edizione riveduta e ampliata è stata pubblicata dall’Editrice Antenore nel 1987 e continua a essere ristampata.
Nella sua premessa Giuseppe Billanovich demarca subito la triste distanza che separa la contemporaneità dal mondo dei letterati vissuti tra il medioevo e l’età moderna: «Una delle conversioni che più possono impressionare gli spiriti attenti è il diminuire precipitoso della conoscenza delle lingue classiche: dal livello massimo dello specialista a quello minimo dello studente liceale. Prima rinunziò a insegnare in latino il professore e poi a rogare in latino il notaio; e ora finalmente anche la più vasta e la più concorde delle Chiese cristiane, la Chiesa cattolica romana, prega non più con una unica voce in latino, ma in cori delle lingue nazionali.
Cessa del tutto la retorica in latino; e sola sopravvive la filologia. Insieme calano nella società in cui viviamo la stima e l’affetto per la cultura classica, per la civiltà classica». Tale degrado è dovuto al trionfo dell’atlantismo nel secondo Novecento europeo e alla conseguente diffusione di una pseudocultura progressista (di filiazione statunitense) che disprezza la civiltà classico-cristiana. Come è possibile che nei discorsi di politici, docenti e sacerdoti le citazioni dei classici latini e greci siano state abbondantemente sostituite da riferimenti alle serie di Netflix e altre baggianate? Ciò è avvenuto perché il retore è stato sostituito dal ciarlatano della frontiera, autentico emblema della cultura a stelle e strisce.
Bisogna quindi allontanarsi dalla “cultura pop” e cercare degli strumenti utili per aprirsi almeno degli spiragli sul vecchio mondo, in questo caso il farmaco ci viene da due autori britannici.
Copisti e filologi è un volume di quasi trecento pagine, ma quando si tratta di manuali la stazza non è sempre garanzia di qualità nei contenuti, qui la differenza la fanno l’ordine, la chiarezza nella spiegazione di notizie storiche e concetti, l’affiancamento di utili curiosità alle nozioni fondamentali. In questo testo le basi ci sono tutte; la prefazione recita: «Il libro è rivolto in primo luogo a chi studia greco e latino, ma il tema affrontato è così inestricabilmente connesso con la storia culturale del Medioevo e del Rinascimento che pensiamo possa riuscire utile a chiunque si occupi di questi periodi». Davanti agli occhi del lettore, come fosse una pergamena, si “srotola” il percorso di una civiltà, o meglio di più civiltà, tra recupero dell’antico, conservazione e progresso degli studi: è la storia della Cristianità e del suo rapporto con la cultura. «L’impulso a cambiare il formato dei libri venne dai primi cristiani: infatti il codice pagano nel secondo secolo era una rarità, mentre per i testi biblici era usuale. I vantaggi del codice sul rotolo erano molti: più pratico, capace, facile da consultare; i riferimenti erano fatti in modo anche più semplice numerando le pagine, mentre l’aggiunta di un indice del contenuto difendeva da false interpolazioni e da altre interferenze nel testo».
Le vicende dei manoscritti sono presentate in modo affascinante, e anche in questo risiede la bravura degli autori. I capitoli più importanti sono sicuramente il secondo, L’Oriente Greco; il terzo, L’Occidente Latino; e il quinto, Alcuni aspetti della filologia dopo il Rinascimento, ma ogni sezione dell’opera è piacevole, ricca e corredata da note che provano la solidità della sintesi e stimolano ad approfondire i singoli temi.
Riccardo Pasqualin
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