mercoledì 8 dicembre 2021

Per un cristiano informarsi è importante

Per un cristiano informarsi è importante

di Riccardo Pasqualin

Henry David Thoreau
 

Lo scrittore statunitense Henry David Thoreau (1817-1862) è ricordato soprattutto per aver dimorato due anni in una capanna sulle rive del lago Walden tra il 1845 e il 1847, esperienza il cui frutto fu il celebre libro Walden ovvero la vita nei boschi, edito nel 1854.

Molti hanno letto questo volume, ma sono probabilmente pochi quelli che vi hanno notato un accenno al Carlismo, complice anche la mancanza di edizioni fornite di un apparato di note, nonché i limiti dei programmi di storia nelle scuole italiane. Riportiamo di seguito il passaggio dell’opera in cui Thoreau cita il tradizionalismo ispanico, e cerchiamo di darne un commento:

«Io sono certo di non aver mai letto notizie memorabili sul giornale. Se leggiamo di un uomo derubato, assassinato o ucciso in un incidente, di una casa bruciata, di una nave naufragata, di una barca a vapore esplosa, di una vacca investita sulla Western Railroad, di un cane idrofobo abbattuto, o di un’invasione di cavallette d’inverno, non ci serve leggere di altri casi. Uno basta. Se conoscete il principio, cosa v’importa delle miriadi di esempi e applicazioni? Per un filosofo, tutte quelle che si chiamano notizie sono pettegolezzi, redatti e letti da vecchie che prendono il tè.

Eppure non sono pochi a essere avidi di questo pettegolezzo.

Ho sentito che l’altro giorno c’è stato un tale trambusto in uno degli uffici per sapere le notizie appena giunte dall’estero, che la pressione ha rotto parecchie grandi lastre quadrate di vetro appartenenti all’ente – notizie che, credo seriamente, uno spirito intelligente avrebbe potuto scrivere con sufficiente accuratezza con dodici mesi o anche dodici anni di anticipo. Quanto alla Spagna, per esempio, se sapete come inserire ogni tanto, nelle giuste proporzioni, i nomi di Don Carlos, dell’Infanta, di Don Pedro, Siviglia e Granada – i nomi possono essere cambiati un po’ dall’ultima volta che ho visto i giornali – e servire una corrida in mancanza di altri intrattenimenti, si sarebbe fedeli alla lettera, e ci si darebbe un’idea dello stato o del disfacimento delle cose in Spagna altrettanto precisa dei più succinti e lucidi servizi di qualunque giornale sotto quel titolo: e quanto all’Inghilterra, l’ultimo ritaglio significativo (o quasi) da quell’area è stata la rivoluzione del 1649; e se avete saputo la storia dei suoi raccolti in un anno medio, non avete più necessità di preoccuparvene, a meno che le vostre speculazioni non siano di carattere meramente pecuniario. Da quanto può giudicare uno che raramente guarda i giornali, non succede mai niente di nuovo all’estero, senza far eccezione per la Rivoluzione francese».

Non sappiamo a quale preciso lasso di tempo faccia riferimento lo scrittore d’oltreoceano: presumibilmente alla seconda guerra carlista (o guerra dei matiners) che nella Penisola iberica (in massima parte in Catalogna) ebbe luogo tra il 1846 e il 1849.

Carlo V (1788-1855) aveva tentato di risolvere la questione dinastica attraverso un matrimonio tra suo figlio Carlos Luís (1818-1861) e Isabella, soluzione auspicata (tra gli altri) anche dal filosofo Juan Donoso Cortés (1809-1853). Nelle trattative intervennero anche le potenze straniere, in particolare la Francia di Luigi Filippo (1773-1850) che praticamente teneva prigioniero Don Carlos a Bourges. Nonostante Carlo V abbia abdicato a favore del suo erede (18 maggio 1845), i tentativi diplomatici fallirono e Carlos Luís, che usava il titolo di Conte di Montemolín, divenne Re per i carlisti col nome di Carlo VI.

Nel settembre del 1846 i carlisti del nord della Spagna erano già preparati per un nuovo scontro armato e iniziò così la seconda Carlistada. L’appellativo di guerra dei matiners deriva dal nome catalano degli insorgenti; nel 1848 Ramón Cabrera (1806-1877) – seppur demotivato sin da principio – si pose alla guida di un’armata di diecimila tradizionalisti con cui affrontò sei distinti eserciti liberali. Solo in Catalogna gli sforzi dei carlisti furono coronati da successo, prova (checché ne dicano i secessionisti contemporanei) della fedeltà degli abitanti della regione al legittimo Re di Spagna. Davanti a questo esempio di valore, Carlo VI provò a passare i Pirenei nel 1849, ma i soldati francesi gli impedirono di proseguire la sua marcia e il 14 maggio di quell’anno la rivolta catalana fu soppressa.

Chiarire se, quanto e come il Boston Post abbia trattato di questi eventi richiederebbe un tomo intero anziché un articolo, ma sicuramente le parole di Thoreau potrebbero ispirare una vasta ricerca a qualche studioso. Certamente la riflessione ci mostra quali potessero essere le opinioni di un repubblicano americano in quegli anni davanti alle guerre spagnole, ma ciò su cui si può focalizzare l’attenzione è il distacco ascetico dal mondo che lo yankee propone ai suoi seguaci.

Evidentemente, Thoreau considerava pressoché inutile la disciplina che noi oggi chiamiamo geopolitica. Peraltro, tale termine nel 1854 ancora non esisteva: l’invenzione del vocabolo può infatti essere fatta risalire allo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922), che lo coniò nel 1899, oppure a Karl Haushofer (1869-1946) che, agli inizi del XX secolo, usò la parola geopolitica indicando lo studio della politica estera degli Stati (paragonati a organismi viventi) come atteggiamento determinato dalla geografia, intesa come «scienza del sangue e del suolo».

Kjellen per “geopolitica” considerava il rapporto tra la geografia e gli obiettivi degli stati, mentre la prospettiva del determinismo emerge chiaramente nella visione del secondo studioso, che trascura il ruolo degli altri fattori nella politica internazionale (volontà dei governi e ideali, influenza delle popolazioni sugli ambienti naturali, economia e dinamiche sociali). In seguito la geopolitica fu depurata dal determinismo, e oggi è intesa come la sintesi del paesaggio geografico mondiale e delle cause geografiche, storiche, politiche e sociali delle dinamiche spaziali della società: in sintesi la comprensione dell’evoluzione delle relazioni internazionali.

Nel 2021, il livello di profondità di diversi giornali italiani potrebbe anche spingere molti a dare ragione a Thoreau e lo stile di vita minimalista e proto-ecologista propugnato dal filosofo potrebbe attrarre anche più di qualche cristiano, stanco di leggere pagine di quotidiani le cui colonne sono equamente ripartite tra orrori e futilità. Ma Gesù non ci chiede di ignorare la realtà e di chiuderci nella nostra solitudine, cerchiamo di stare in guardia. Non è questo ciò che fanno gli eremiti.

A differenza di Thoreau, nell’Ottocento, i cattolici italiani hanno seguito con attenzione le vicende del Carlismo (consci del peso che i suoi trionfi avrebbero, potenzialmente, potuto avere per la Cristianità intera) e così dovremmo fare pure oggi, ma anche lasciando per un attimo da parte il tradizionalismo e la realizzazione politica della Cattolicità, dovremmo cercare di informarci tutti di più sulle persecuzioni contro i cristiani che avvengono ogni giorno in tutto il mondo. Dobbiamo sempre interessarci dei dolori del nostro prossimo, e se non possiamo materialmente aiutare chi è lontano dobbiamo almeno cercare di non ignorare la sua condizione e pregare per lui. Questa è la nostra fede.

E per rimanere informati, ma non sommersi dai pettegolezzi, il nostro consiglio è quello di affidarsi all’Agenzia FARO, un vero punto fermo di luce nel mare della disinformazione.

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