Recensione al saggio
Francesco Maurizio Di Giovine, Gli Zuavi Pontifici e i loro nemici, Solfanelli, Chieti 2020, p. 364, € 24
Molte strade della Penisola italica sono intitolate al 20 (o XX) Settembre, data che segna l’entrata delle truppe italiane a Roma nel 1870 dalla celebre “breccia” di Porta Pia. Esiste anche una nutrita serie di opere pittoriche e scultoree che ricorda questa “impresa” dei bersaglieri (per inciso: quelli che Carlo Alianello avrebbe definito «le SS dell’Ottocento» nel suo La conquista del Sud a causa del loro comportamento nei confronti della popolazione civile meridionale durante la repressione del cosiddetto “brigantaggio” antiunitario). Ma affinché la conquista di Roma possa essere considerata una vera “impresa” e non una semplice esercitazione o, come si dice in casi simili, una “passeggiata militare”, sono necessari ameno due elementi: a) che i bersaglieri abbiano trovato una resistenza e b) che questa abbia avuto un certo peso.Eppure, il 20 Settembre e la breccia di Porta Pia, sono
sempre intesi, nell’immaginario collettivo prevalente, come un colpo di mano di
Lamarmora, che si decise a penetrare nella Città Santa quasi nonostante gli
ordini pacifici contrari del suo comando, conducendo una brillante e coraggiosa
Operazione Militare che avrebbe cambiato la Storia della Patria (il tutto
rigidamente scritto con le maiuscole).
Insomma, sembra che i soldati italiani si siano limitati a far
brillare la carica che aprì il varco nelle mura romane e a mettere il governo
piemontese, timoroso della Francia, di fronte al fatto compiuto.
Però, se fin dal primo momento tale impresa da artificieri è
stata esaltata, evidentemente essa doveva aver trovato una notevole resistenza
da parte dell’esercito pontificio. E così fu, infatti: le cronache riportano 32
morti e 143 feriti da parte italiana e circa la metà (15 morti e 68 feriti) da
parte pontificia, nonostante l’esercito papalino contasse meno di un quarto di
uomini di quello invasore (15.000 contro 65.000) . Eppure, chi compì tale eroica
resistenza è stato (volutamente) dimenticato, almeno dalla storiografia dei
vincitori.