Gianandrea de Antonellis
Il seminarista rosso
L’infiltrazione marxista nella Chiesa
Una volta c’erano
i preti operai: oggi quegli
stessi preti
sono diventati vescovi.
Paolo Ferrante, 1990.
Secondo
Stalin, la forza politica più pericolosa
per i comunisti è la Chiesa cattolica,
e per colpire
questo temibile «avversario»
suggerisce di «non attaccare»
direttamente
la religione, ma le sue organizzazioni.[1]
La deriva modernista della Chiesa è sotto gli occhi di
tutti. Ma, nonostante la distruzione dei dogmi, dei princìpi, dei simboli sia
costante, nessuno interviene. E nessuno, soprattutto, la denuncia per quello
che è: l’imporsi di una dottrina già ufficialmente condannata da San Pio X nell’enciclica
Pascendi (1907). Dal Vaticano II in
poi il modernismo, sotto diverso nome, senza mai usare questo termine, perché
avrebbe esplicitato l’eresia sottintesa allo strombazzato “spirito del Concilio”,
ha imperato nella vita ecclesiastica: introduzione del Novus Ordo, abolizione dei paramenti, introduzione della tavola
eucaristica di fronte (ma più spesso al posto) dell’altare principale ed
eliminazione (cioè, distruzione) di quelli laterali, eliminazione della
balaustra e conseguente banalizzazione dell’eucarestia (comunione nella mano o
sotto le due specie), sostituzione dei canti gregoriani con canzonette pop,
chitarre al posto dell’organo, etc.
Come tutto questo sia stato possibile in pochi decenni
sembra incredibile, ma diventa perfettamente comprensibile se lo si considera
non un frutto del caso (o meglio del caos) introdotto dalla voluta ambiguità[2]
dei documenti conciliari, bensì come un progetto che parte da lontano (dagli
anni Trenta) e che nel Concilio ha visto un fondamentale punto di svolta.
Ogni effetto ha una propria causa: del resto la punta
dirompente della lancia rivoluzionaria non avrebbe la sua forza se non fosse
innestata su un’asta composta dalle varie stratificazioni del pensiero
pre-rivoluzionario.