Un’astratta “Libertà” contro le libertà concrete
La “libertà” è sempre stata la bandiera del Tradizionalismo. Oggi, la modernità ci presenta una concezione negativa della libertà. Questo carattere antinaturale è stato messo bene in evidenza da Monsignor Ignazio Barreiro il quale ha sostenuto che l’uso antinaturale della libertà conduce l’uomo all’autodistruzione. La libertà, identificata con una natura del resto imprecisa, si dispiega nel vuoto e verso quali fini? Un riposo, una felicità, un’amicizia; primizie dell’essere, ma primizie utopiche e senza conseguenze perché non ordinate ad alcuna gerarchia di valori. L’Essere infatti non è un tesoro nascosto che si libererà facendo saltare la crosta della società repressiva; l’Essere è una totalità ascendente in cui si articolano i rapporti degli uomini: tra di loro, con la natura e con il soprannaturale. Se non si afferma l’Essere come ordine di valori, lo si rivivrà nel campo dei sogni; informe, lo si confonde con le delizie impossibili del mondo perduto o nel mondo immaginario.
Su questo argomento, il grande Francisco Elias de Tejada è chiarissimo. La libertà astratta di cui il selvaggio godrebbe nello stato di natura rappresentava il disprezzo delle formule di libertà concrete guadagnate nel corso dei secoli dai popoli civilizzati. Era uno stile di libertà nuova; era la libertà antistorica praticata dal buon selvaggio astorico; era l’ottimismo antropologico portato alle sue ultime conseguenze, fino alla politica. Significava sostituire il concreto con l’astratto, affermare la bontà innata dell’uomo in quanto uomo e la malvagità delle società civili fondate nella storia; era rinnegare ciò che appartiene alla tradizione, storia viva, istituzionalizzata nella politica, per considerare che tutto il male è nella società per il fatto di essere storica e tutto il bene è nell’uomo ancorato alla nuda natura elementare.
Elías de Tejada sviluppa l’argomento affermando: «La libertà astratta non esiste, perché l’uomo non esiste in astratto, ma in circostanze di luogo e di tempo determinati. Né i selvaggi sognati da Rousseau sono liberi da legami, anzi sono i più involti da precisi legami. La libertà si manifesta sempre nelle libertà concrete riferite a condizioni di situazioni concrete di ciascun uomo libero. E’ la libertà corrispondente alla trama sociale risultante dalla storia, una libertà tanto storica come è storico l’uomo che ne gode».
Francisco Elias de Tejada sostiene che Rousseau elimina la storia e le conseguenze politiche della storia, incluse le libertà concrete che sono nate dalla storia scrivendo: «Io concepisco due tipi di ineguaglianza nella specie umana; l’una, che chiamo naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura, e che consiste nelle differenze dell’età, della salute, delle forze del corpo, e delle qualità dello spirito o dell’anima; l’altra, che si può chiamare ineguaglianza morale o politica, perché dipende da una sorta di convenzione, e che è stabilita o almeno autorizzata dall’accordo tra gli uomini. Questa consiste nei differenti privilegi di cui alcuni godono a scapito degli altri, come essere più ricchi, più onorati, più potenti che altri, o ugualmente facendosi obbedire». In pratica, Voltaire cerca di eliminare la realtà dell’uomo concreto, nata dal passato vivo. Ciò che rifiuta è la Tradizione in tutti i suoi modi e in specie la tradizione delle libertà politiche concrete. La logica del suo ottimismo antropologico non poteva condurlo a risultati differenti.
Elias de Tejada aggiunge: «Il fondamento filosofico più alto delle libertà concrete trae origine in definitiva dalle vette più luminose della filosofia scolastica, in primo luogo dal pensiero di san Tommaso d’Aquino. È nel concetto tomista dell’essere dove si radicano le tesi della valorizzazione della storia nella dottrina dei corpi intermedi, secondo la visione dell’uomo come essere concreto, in quanto essere storico, e tali come si proiettano nelle prospettive forali (relative ai fueros, come ordinamenti e diritti particolari) dei popoli cristiani».
Sempre Elias de Tejada: «Le libertà concrete si distinguono dalla libertà astratta nei seguenti punti cardinali. Primo, procedono dalla storia, poiché l’uomo vero è un essere storico, mai il buon selvaggio chimericamente idealizzato da Roussseau. Secondo, si incarnano in corpi intermedi, baluardi per difenderle effettivamente, nati dalla storia stessa, vissuta generazione dopo generazione da viventi liberi. Terzo, non consistono in tavole fantastiche, sterili e vuote, risonanza di echi, orgogliosi, incapaci di plasmare istituzioni convenienti, ma in dati precisi, reali, vissuti anziché sognati. Quarto, sono libertà al plurale e non libertà al singolare, poiché la storia è iscritta in fatti certi, a misura che sono certe le attività degli uomini che fanno la storia. Diverse [tali libertà] per le loro origini filosofiche, differenti per le concezioni antropologiche sulle quali si basano, contrastando il fantasioso ottimismo antropologico col realismo dell’uomo fallibile, misurato e non misura delle cose, risultano tanto opposte ed incompatibili tra loro che il loro scontro costituisce una delle lezioni più significative nella storia del pensiero politico moderno». .
Il presidente degli Incontri
Tradizionalisti di Civitella del Tronto
Dott. Francesco Maurizio Di Giovine
Commendatore dell’Ordine
della Legittimità Proscritta
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