Qualche vetero-comunista
italico
sorride ai talebani
Come tradizionalisti lo ripetiamo spesso: ogni nuova rivoluzione travolge anche i fomentatori delle rivoluzioni precedenti. Dovrebbero rendersene conto anche i vecchi comunisti italici, ormai considerati “reazionari” dai progressisti arcobaleno.
Premesso ciò, per quanto nella Penisola il vetero-comunismo
abbia perso moltissimo peso politico negli ultimi decenni, in alcuni frangenti
esso continua ancora ad inquinare il dibattito pubblico con proposte e uscite
infelici. Tra queste trovate balzane rientra anche il sostegno dimostrato all’Azerbaigian
durante la guerra contro gli armeni nel 2020 da parte di sparuti gruppuscoli di
marxisti nostrani, ingannati probabilmente dai trascorsi sovietici della
famiglia Aliyev.
La scelta di posizioni simili (invero risibili) da parte di
chi è ormai quasi privo di punti di riferimento non deve stupire:
inspiegabilmente alcuni comunisti italiani hanno finito persino per rivolgere
le loro simpatie verso la Turchia di Erdoğan e i talebani dell’Afghanistan.
In questo breve testo ci soffermeremo sull’ultimo caso menzionato: l’anti-americanismo di maniera di certi marxisti li ha spinti a rivalutare anche gli studenti del Corano. Evidentemente, i cosiddetti “compagni” hanno già dimenticato la vigilia di Natale del 1979, quando ebbe inizio l’intervento russo in Afghanistan. A parere di queste menti confuse, la rapida avanzata dei talebani verso Kabul è definibile come un lodevole «episodio di decolonizzazione» e gli basta citare quattro paroline di Stalin per dare un senso a tutto: «Nelle condizioni dell’oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l’esistenza di elementi proletari nel movimento, l’esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l’esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell’emiro afghano per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l’imperialismo» (Dei principii del leninismo, aprile 1924).
Secondo taluni neostalinisti, quindi, gli afghani “buoni”
sarebbero tutti dalla parte dei talebani (creature americane!), mentre i
profughi non rappresenterebbero che i sostenitori degli Stati Uniti: una
sparuta minoranza legata agli interessi degli statunitensi e beneficiaria dei
vantaggi da essi concessi, una classe dirigente manovrata dagli imperialisti,
in sintesi dei privilegiati che volevano vivere “alla liberale”. La tesi
manichea di questi bolscevichi del 2021 non accetta alcuna sfumatura, e in
fondo rispecchia l’irrispettoso giudizio emesso
dal loro arcinemico Biden, il quale, ad agosto di quest’anno, ha dichiarato
pubblicamente che «I soldati americani non possono e non devono combattere in
una guerra, e morire in una guerra, che le forze afghane non vogliono
combattere. […] Abbiamo dato loro la possibilità di determinare il loro futuro. Ciò che non potevamo dare loro era la volontà di combattere per il loro futuro. Ci sono alcune unità speciali e coraggiose tra le forze afghane. Ma se l’Afghanistan è incapace di mettere in campo ogni reale resistenza ai Talebani, [gli afghani] non saranno in grado di farlo tra un anno, un altro anno ancora, altri cinque o vent’anni».
In verità esistono articoli, testimonianze fotografiche e
video che attestano che i soldati afghani hanno lottato e che a loro, già a
giugno, si erano uniti dei volontari desiderosi di resistere ai talebani, ma
questi uomini sono stati dimenticati da tutti: dalla stampa europea e
americana, dal governo USA e anche dai comunisti.
Ormai una dozzina di anni fa, in contesti diversi, chi scrive
ha avuto la fortuna di poter conoscere personalmente alcuni giovani afghani
fuggiti dal loro paese, erano atei, convintamente anti-americani e tra di loro
c’era
chi aveva tendenze marxiste. Lo scrivente non condivide gli ideali di quelle
persone e da lungo tempo non è a conoscenza di dove costoro abbiano trovato
rifugio, ma non può esimersi dal provare compassione per queste vittime del
nostro tempo, tradite e abbandonate oggi anche da una parte dei loro “compagni”
italiani. Forse questi sconfitti della storia non torneranno mai più in patria,
e ora sono costretti a sopportare anche i discorsi di quei “rossi” che
giustificano il regime instaurato a Kabul dai terroristi.
De Maistre scrisse che il tempo è il primo ministro d’Iddio,
e potrebbe essere che un giorno non troppo lontano il confronto con la realtà
dia una lezione agli ipocriti.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire,
ma come cattolici non possiamo smettere di sperare che anche i più ottusi si
redimano.
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