Rico, Autoritratto, 1908, olio e pastello su cartone, Museo del PradoIn Spagna Martín Rico y Ortega (1833-1908) è considerato uno dei maggiori paesaggisti della seconda metà del XIX secolo. Godette di grande notorietà a livello nazionale già in vita, guadagnandosi inoltre un discreto seguito di ammiratori stranieri, soprattutto francesi e statunitensi.Rico (così firmò sempre i suoi lavori) nacque a El Escorial – oggi una città della comunità autonoma di Madrid – il 12 novembre 1833, nell’anno in cui scoppiò la prima guerra carlista, conclusasi nel 1840. Durante la sua carriera collaborò anche con suo fratello Bernardo (1825-1894), incisore e illustratore. Si formò presso la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, dove fu allievo del romantico Jenaro Pérez Villaamil (1807-1854), pittore di corte dal 1840 e, dal 1845, primo professore di pittura paesaggistica della scuola.
Nelle opere d’esordio di Rico si percepisce chiaramente l’influenza del Romanticismo, il filone artistico del suo maestro; secondo gli stilemi della corrente, quei suoi paesaggi paiono idealizzati come specchi delle emozioni e degli stati d’animo. Grazie a una borsa di studio governativa, nel 1860, il madrileno si trasferì a Parigi per proseguire il suo percorso, completando la sua emancipazione artistica.
I decenni che vanno dal 1860 agli inizi del Novecento sono quelli della cosiddetta seconda rivoluzione industriale, caratterizzati da un rapido sviluppo tecnologico e da una crescita demografica che vide porsi la questione del ruolo politico delle masse dei lavoratori salariati. Anche in Spagna vi fu l’espansione dell’industria e iniziò a definirsi in maniera sempre più netta l’emergere del potere della borghesia, destinata a sostituirsi progressivamente alla nobiltà terriera nella guida del paese. La corrente di pensiero dominante in quest’epoca fu il Positivismo, che aveva tra i suoi pilastri la fede in un progresso illimitato e la convinzione che ogni tipo di studio (e di arte) dovesse fondarsi su ciò che è concreto, pratico e produttivo. La storiografia si riorientò come studio dell’esperienza umana e si tentò di applicare alla letteratura un metodo scientifico, basato sull’osservazione e l’analisi dei fenomeni sociali: nacque così il Naturalismo, e dal 1871 Émile Zola (1840-1902) si cimentò nella scrittura di “quadri naturali e sociali” facendo tesoro della lezione del filosofo Hippolyte Taine (1828-1893) , occupandosi degli uomini da un punto di vista quasi biologico, simulando l’infallibilità di un calcolo matematico per cercare di approdare a una rappresentazione capillare della Francia a lui contemporanea. Il pittore Gustave Courbet (1819-1877) fu invece il teorico del Realismo, traduzione fedele della realtà nella rappresentazione artistica, in polemica con l’Eclettismo e il Romanticismo.
La crescente diffusione della fotografia portò una parte della critica artistica a ridurre il Realismo pittorico a mera riproduzione, simile a quella operabile con il processo fotografico, negandone la creatività e la stessa artisticità.
Durante la sua permanenza in Francia, Rico però fu fortemente colpito dai dipinti della scuola di Barbizon e, in particolare, da Charles-François Daubigny (1817-1878) . Questi autori si erano allontanati dal Romanticismo, proponendo una visione autentica della natura e ponendosi con un atteggiamento di umiltà nei confronti delle sue molteplici sfaccettature, infinita fonte d’ispirazione. Ma si trattava comunque di un Realismo che sviluppava certe premesse romantiche, mantenendone alcune tendenze, insomma di una transizione più gentile. Va aggiunto, però, che Daubigny è considerato anche un precursore dell’Impressionismo; il suo interesse per la contemporaneità, la sua volontà di cogliere l’attimo, si trasformerà negli impressionisti in appropriazione dell’istante, sviluppando in pittura le suggestioni scaturite dai progressi del mezzo fotografico.
I paesaggi che Rico dipinse in questa fase della sua carriera riflettono una concezione realista della campagna francese e svizzera, soggetti su cui si soffermò a lungo. Tuttavia, nel 1870, con l’inizio della guerra franco-prussiana (19 luglio 1870-10 maggio 1871), egli decise di lasciare la Francia e tornare in Spagna.
Su invito dell’amico pittore Marià Fortuny i Marsal (1838-1874), Don Martín si stabilì a Granada, dove collaborò intensamente con il collega, con Cecilia de Madrazo y Garreta (1846-1932) – che Fortuny aveva sposato nel 1867 – e il di lei fratello Ricardo (1852-1917), altro paesaggista e acquerellista. Divenne quasi difficile distinguere l’arte di Martín da quella di Ricardo de Madrazo: durante questo periodo, i loro stili si influenzarono vicendevolmente, al punto che i loro disegni vennero talvolta confusi. Inoltre l’influenza di Fortuny portò Rico a esplorare la luce e il colore in maniera nuova, con una resa di estrema nitidezza. Il periodo trascorso in Andalusia fu per il Nostro uno dei più felici e fecondi.
Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano entrò a Roma, il 16 novembre Amedeo di Savoia (1845-1890) fu designato dalle Cortes come re di Spagna, e il 18 del mese, da Granada, Fortuny scrisse all’amico, allora a Madrid, una lettera con significativi riferimenti alla temperie politica di quei giorni:
Mio caro Martín,
se non ti ho scritto ciò è dovuto alla mia abituale pigrizia; quindi non stupirti se lo faccio oggi, perché secondo un giornale che ho appena letto, sembrerebbe che noi spagnoli giubiliamo tutti per la proclamazione del re Amedeo, e che per una così bella notizia dovremmo congratularci a vicenda. Che peccato che tu non sia qui a festeggiare questo lieto evento […]. Lavoriamo abbastanza e desideriamo che il nostro inverno venga impiegato con profitto, perché qui i soggetti per i dipinti non sono scarsi. […] Vieni dunque, mio caro, e farai un’azione di beneficenza; ci incoraggeremo a vicenda e non retrocederemo, cosa che potrebbe facilmente accadere a questo paese benedetto .
Nell’autunno del 1871 Rico ebbe la possibilità di ritrarre la salma dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-1558), che descrisse a Fortuny come completamente intatta .
Nel 1872, il Nostro scoprì anche Venezia, città che avrebbe profondamente segnato la sua esistenza. In quell’anno, lui e Fortuny viaggiarono in Italia, visitando Roma, Napoli, Firenze e la città di San Marco . L’antica regina del mare, con la sua atmosfera unica, divenne da allora la sua principale fonte di ispirazione. Fino alla sua morte, Rico trascorse infatti quasi ogni estate a Venezia.
Che la maggioranza degli spagnoli amasse il Duca d’Aosta, tuttavia, era solo un’allucinazione di Fortuny: tra il 1872 e il 1876 fu combattuta in Spagna la terza guerra carlista, durante la quale si aprirono serie possibilità per il compimento di una controrivoluzione e il ritorno al potere della dinastia legittima. Amedeo fu capo di stato spagnolo solo fino all’11 febbraio del 1873.
Lo spirito dei tempi, la guerra, le esposizioni universali, traspaiono da un’altra missiva di Fortuny, spedita da Roma nell’agosto 1873:
Caro Martín,
qui non siamo messi male, meglio di quanto sperassi; e, se il caldo è eccessivo, la casa è fresca. Dipingo in studio e la sera in giardino è molto piacevole. Ho già quasi finito il quadro La Modela. Per quanto riguarda il giardino, le figure sono ben definite. Ho dipinto alcuni fiori a grandezza naturale dal vero, e alcuni studi insignificanti. Non voglio parlare della Spagna, e credo che passerà molto tempo prima che possiamo ritornarvi tranquillamente. Nonostante tutto, preferirei essere lì, perché francamente mi vergogno di essere assente nelle circostanze attuali. Pensi di andare a Vienna a settembre? Se fosse possibile, mi piacerebbe vedere almeno una volta nella mia vita un’esposizione universale. Non so se hai ricevuto La Ilustración de Madrid. È apparsa l’incisione del Moro che fuma, e potrai scrivere da parte mia a Bernardo Rico [il fratello di Martín, nda] che ne sono molto contento. [Ma] È un peccato che abbia lavorato così tanto su un disegno già vecchio [il giornale in cui era apparsa l’immagine aveva già cessato le pubblicazioni, nda] .
Nell’ottobre 1874, quando Rico si era definitivamente trasferito a Parigi , da Portici Fortuny scrisse al collega:
Caro Martín,
sei soddisfatto delle tue pitture? Quali sono le novità a Parigi dal punto di vista pittorico? Come stanno i nostri amici? Noi siamo ancora qui, ma solo per un breve periodo, il che mi dispiace di più, perché certamente lavoro più qui che a Roma. Dato che non vado più a Venezia, andrò forse a vedere un paesino qui vicino, molto pittoresco, mi sembra; e il rapporto dice che è il più bello d’Italia […]
Il 21 novembre 1874, improvvisamente, Marià Fortuny i Marsal morì a Roma e sua moglie Cecilia e i figli si spostarono a Parigi, ma nel 1889 la famiglia si trasferì a Venezia, presso Palazzo Martinengo. Qui continuarono a frequentare il vecchio amico Martín; c’era anche Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949), figlio di Marià, che agli inizi del XX secolo acquistò palazzo Pesaro degli Orfei .
Lo storico dell’arte Enrique Lafuente Ferrari (1898-1985) scrive: «La luce limpida di Granada, di Toledo o di Madrid viene catturata da Rico con una precisione non esente da quella preziosità fortunyana che si coglie soprattutto nelle sue vedute di Venezia, genere che ottenne uno straordinario successo commerciale» . Con i suoi campi e campielli, le sue chiese, i canali, e la sua luce unica, la città lagunare attirò molti altri artisti famosi come Édouard Manet (1832-1883), Claude Monet (1840-1926), John Singer Sargent (1856-1926), Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e Federico del Campo (1837-1923). Rico si unì a questa schiera, e realizzò numerosi dipinti di vedute veneziane dipingendo all’aria aperta, spesso su una gondola o dalla finestra del suo alloggio nel sestiere di Dorsoduro. In particolare, strinse un forte legame d’amicizia con il vedutista peruviano Federico del Campo – legato a un gruppo di artisti emigrati, tra i quali si possono ricordare Antonietta Brandeis (1848-1926) e Rafael Senet (1856-1926) –, con il quale collaborò in diverse occasioni per dipingere scene veneziane, molto apprezzate sia dai numerosi viaggiatori stranieri che visitavano le calli che dagli italiani. In quei giorni Rico vendette moltissimo. Secondo Ferrari: «Lo studio degli impressionisti, che lo interessò in età già matura, non mancò di incidere sulla sua pittura negli ultimi anni della sua vita, e avrebbe dato luogo, se il pittore vi si fosse avvicinato prima, a una nuova fase della sua opera» .
Diverse furono le onorificenze con cui il vedutista spagnolo venne premiato: nel 1862 ricevette il Prix de Rome (assegnato per la prima volta a un pittore di paesaggi), le sue opere vennero regolarmente esposte al Salon di Parigi, dove nel 1866 ricevette una prestigiosa medaglia d’argento. All’Esposizione Universale di Parigi del 1878, ricevette una medaglia di bronzo e venne nominato Cavaliere della Legione d’Onore. Nel 1884 fu decorato con la medaglia dell’Ordine di Isabella la Cattolica. All’Esposizione Universale di Parigi del 1889 gli fu assegnata un’altra medaglia d’argento.
Il 13 aprile 1908 Rico si spense nel capoluogo lagunare, che perse così uno dei più raffinati interpreti della sua luce e del suo paesaggio. Le tele dello spagnolo, intrise di serenità e poesia, continueranno per sempre a incantare le anime sensibili. L’artista riposa nel Cimitero di San Michele.
Riccardo Pasqualin
Il presente testo è già apparso sulla Strenna 2004 dell’Associazione Culturale Amici del Museo Storico della Terza Armata
Rico, Veduta di Parigi dal Trocadero, 1883, olio su tela, 79x160 cm, Museo del Prado.
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