Per un cristiano informarsi è importante
di Riccardo Pasqualin
Lo scrittore statunitense Henry David Thoreau (1817-1862) è
ricordato soprattutto per aver dimorato due anni in una capanna sulle rive del
lago Walden tra il 1845 e il 1847, esperienza il cui frutto fu il celebre libro
Walden ovvero la vita nei boschi, edito nel 1854.
Molti hanno letto questo volume, ma sono probabilmente pochi
quelli che vi hanno notato un accenno al Carlismo, complice anche la mancanza
di edizioni fornite di un apparato di note, nonché i limiti dei programmi di
storia nelle scuole italiane. Riportiamo di seguito il passaggio dell’opera
in cui Thoreau cita il tradizionalismo ispanico, e cerchiamo di darne un
commento:
«Io sono certo di non aver mai letto notizie memorabili sul giornale.
Se leggiamo di un uomo derubato, assassinato o ucciso in un incidente, di una
casa bruciata, di una nave naufragata, di una barca a vapore esplosa, di una
vacca investita sulla Western Railroad, di un cane idrofobo abbattuto, o di un’invasione
di cavallette d’inverno, non ci serve leggere di altri casi. Uno basta.
Se conoscete il principio, cosa v’importa delle miriadi di esempi e
applicazioni? Per un filosofo, tutte quelle che si chiamano notizie sono
pettegolezzi, redatti e letti da vecchie che prendono il tè.
Eppure non sono pochi a essere avidi di questo pettegolezzo.
Ho sentito che l’altro giorno c’è
stato un tale trambusto in uno degli uffici per sapere le notizie appena giunte
dall’estero, che la pressione ha rotto parecchie grandi
lastre quadrate di vetro appartenenti all’ente – notizie che,
credo seriamente, uno spirito intelligente avrebbe potuto scrivere con
sufficiente accuratezza con dodici mesi o anche dodici anni di anticipo. Quanto
alla Spagna, per esempio, se sapete come inserire ogni tanto, nelle giuste
proporzioni, i nomi di Don Carlos, dell’Infanta, di Don
Pedro, Siviglia e Granada – i nomi possono essere cambiati un po’
dall’ultima volta che ho visto i giornali – e servire una
corrida in mancanza di altri intrattenimenti, si sarebbe fedeli alla lettera, e
ci si darebbe un’idea dello stato o del disfacimento delle cose in Spagna
altrettanto precisa dei più succinti e lucidi servizi di qualunque giornale
sotto quel titolo: e quanto all’Inghilterra, l’ultimo
ritaglio significativo (o quasi) da quell’area è stata la
rivoluzione del 1649; e se avete saputo la storia dei suoi raccolti in un anno
medio, non avete più necessità di preoccuparvene, a meno che le vostre
speculazioni non siano di carattere meramente pecuniario. Da quanto può giudicare
uno che raramente guarda i giornali, non succede mai niente di nuovo all’estero,
senza far eccezione per la Rivoluzione francese».
Non sappiamo a quale preciso lasso di tempo faccia
riferimento lo scrittore d’oltreoceano: presumibilmente alla
seconda guerra carlista (o guerra dei matiners) che nella Penisola
iberica (in massima parte in Catalogna) ebbe luogo tra il 1846 e il 1849.
Carlo V (1788-1855) aveva tentato di risolvere la questione
dinastica attraverso un matrimonio tra suo figlio Carlos Luís (1818-1861) e
Isabella, soluzione auspicata (tra gli altri) anche dal filosofo Juan Donoso
Cortés (1809-1853). Nelle trattative intervennero anche le potenze straniere,
in particolare la Francia di Luigi Filippo (1773-1850) che praticamente teneva
prigioniero Don Carlos a Bourges. Nonostante Carlo V abbia abdicato a favore
del suo erede (18 maggio 1845), i tentativi diplomatici fallirono e Carlos
Luís, che usava il titolo di Conte di Montemolín, divenne Re per i
carlisti col nome di Carlo VI.
Nel settembre del 1846 i carlisti del nord della Spagna
erano già preparati per un nuovo scontro armato e iniziò così la seconda
Carlistada. L’appellativo di guerra dei matiners deriva dal
nome catalano degli insorgenti; nel 1848 Ramón Cabrera (1806-1877) – seppur demotivato
sin da principio – si pose alla guida di un’armata di diecimila tradizionalisti
con cui affrontò sei distinti eserciti liberali. Solo in Catalogna gli sforzi
dei carlisti furono coronati da successo, prova (checché ne dicano i
secessionisti contemporanei) della fedeltà degli abitanti della regione al
legittimo Re di Spagna. Davanti a questo esempio di valore, Carlo VI provò a
passare i Pirenei nel 1849, ma i soldati francesi gli impedirono di proseguire
la sua marcia e il 14 maggio di quell’anno la rivolta catalana fu
soppressa.
Chiarire se, quanto e come il Boston Post abbia
trattato di questi eventi richiederebbe un tomo intero anziché un articolo, ma
sicuramente le parole di Thoreau potrebbero ispirare una vasta ricerca a qualche
studioso. Certamente la riflessione ci mostra quali potessero essere le
opinioni di un repubblicano americano in quegli anni davanti alle guerre
spagnole, ma ciò su cui si può focalizzare l’attenzione è il
distacco ascetico dal mondo che lo yankee propone ai suoi seguaci.
Evidentemente, Thoreau considerava pressoché inutile la
disciplina che noi oggi chiamiamo geopolitica. Peraltro, tale termine
nel 1854 ancora non esisteva: l’invenzione del vocabolo può infatti
essere fatta risalire allo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922), che lo coniò nel
1899, oppure a Karl Haushofer (1869-1946) che, agli inizi del XX secolo, usò la
parola geopolitica indicando lo studio della politica estera degli Stati
(paragonati a organismi viventi) come atteggiamento determinato dalla
geografia, intesa come «scienza del sangue e del suolo».
Kjellen per “geopolitica” considerava il rapporto tra la
geografia e gli obiettivi degli stati, mentre la prospettiva del determinismo
emerge chiaramente nella visione del secondo studioso, che trascura il ruolo degli
altri fattori nella politica internazionale (volontà dei governi e ideali,
influenza delle popolazioni sugli ambienti naturali, economia e dinamiche
sociali). In seguito la geopolitica fu depurata dal determinismo, e oggi è
intesa come la sintesi del paesaggio geografico mondiale e delle cause
geografiche, storiche, politiche e sociali delle dinamiche spaziali della
società: in sintesi la comprensione dell’evoluzione delle
relazioni internazionali.
Nel 2021, il livello di profondità di diversi giornali
italiani potrebbe anche spingere molti a dare ragione a Thoreau e lo stile di
vita minimalista e proto-ecologista propugnato dal filosofo potrebbe attrarre
anche più di qualche cristiano, stanco di leggere pagine di quotidiani le cui
colonne sono equamente ripartite tra orrori e futilità. Ma Gesù non ci chiede
di ignorare la realtà e di chiuderci nella nostra solitudine, cerchiamo di
stare in guardia. Non è questo ciò che fanno gli eremiti.
A differenza di Thoreau, nell’Ottocento, i cattolici italiani hanno seguito con attenzione le vicende del Carlismo (consci del peso che i suoi trionfi avrebbero, potenzialmente, potuto avere per la Cristianità intera) e così dovremmo fare pure oggi, ma anche lasciando per un attimo da parte il tradizionalismo e la realizzazione politica della Cattolicità, dovremmo cercare di informarci tutti di più sulle persecuzioni contro i cristiani che avvengono ogni giorno in tutto il mondo. Dobbiamo sempre interessarci dei dolori del nostro prossimo, e se non possiamo materialmente aiutare chi è lontano dobbiamo almeno cercare di non ignorare la sua condizione e pregare per lui. Questa è la nostra fede.
E per rimanere informati, ma non sommersi dai pettegolezzi, il
nostro consiglio è quello di affidarsi all’Agenzia FARO, un vero punto fermo di
luce nel mare della disinformazione.
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