giovedì 13 giugno 2024

Rivoluzione o evoluzione tecnologica?

L’utilizzo di un termine delicato come rivoluzione richiede sempre delle riflessioni: proprio perché per un tradizionalista la questione è seria, esso non può essere adoperato senza meditare.

Ha davvero senso adoperare espressioni come rivoluzione scientifica, rivoluzione agricola o rivoluzione industriale?

Nel suo discorso in apertura dell’anno galileiano 1991-1992, Claudio Valli ha dichiarato che «La rivoluzione protestante, la rivoluzione copernicana e la rivoluzione scientifica galileiana caratterizzano la fase di transizione tra l’intolleranza ideologica e il terrorismo [sic!] dell’Inquisizione dei secoli XVI e XVII e l’Illuminismo del secolo XVIII».

A questo intervento nemmeno troppo velatamente anticattolico, rispose un altro relatore, Giovanni Leonardi, il quale ribatté che quelle parole erano frutto di vecchi schemi ideologici ormai superati, che vedevano «da una parte solo i buoni e dall’altra solo i cattivi». Schemi forse superati tra gli accademici, certo, ma che in ambito divulgativo tengono ancora banco, non favorendo tra i non specialisti l’assimilazione di una visione corretta della storia. 

In quell’occasione Leonardi smontò la fragile costruzione storica progressista ricordando come già nel 1539 lo stesso Lutero avesse avuto un colloquio con Copernico, durante il quale aveva finito per chiamare «pazzo» l’astronomo: «È stato ricordato un nuovo astrologo, il quale voleva dimostrare che la terra si muova e giri, non il cielo o il firmamento, il sole o la luna […].» sentenziava l’eretico tedesco, «Chi vuole essere prudente, non si deve lasciar convincere da quello che dicono gli altri; egli deve ragionare di testa sua e questo sarà il meglio che dovrà fare. Il pazzo vuole sconvolgere tutta l’arte dell’astronomia, però, come dimostra la Sacra Scrittura, Giosuè disse al sole di fermarsi e non alla terra». 

E anni più tardi il protestante Filippo Melantone (1497-1560) – amico intimo di Lutero – si pose contro Copernico nei suoi Initia doctrinae physicae (1552), scrivendo: «C’è della gente che, a dispetto di ogni apparenza, ha escogitato buffonate di ogni genere sul movimento dei corpi celesti; mentre tali novità, nell’astronomia, sono in contrasto con i principi fisici e biblici. Poiché così fitte sono le tenebre nello spirito umano, bisogna attenersi alla parola di Dio, che deve essere interpretata secondo il senso letterale».

In campo cattolico, invece, l’opera di Copernico non suscitò opposizioni da parte delle autorità ufficiali ecclesiastiche, poiché lo studioso premetteva di parlare secondo le apparenze.

Va detto che da almeno quarant’anni, espressioni come «rivoluzione scientifica», «rivoluzione agricola» e «rivoluzione industriale» – comunemente usate nel discorso pubblico per indicare fasi e mutamenti storici ben precisi – sono oggetto di dibattiti, ripensamenti, discussioni e polemiche. 

Per alcuni studiosi il termine rivoluzione risulta inadatto e fuorviante per «designare un insieme complesso di fenomeni ed eventi storici verificatisi in un arco temporale molto ampio, con il rischio che una metafora di uso comune nella storia della scienza acquistasse una valenza troppo generica» (Ferdinando Abbri, Dal naturalismo rinascimentale alla rivoluzione scientifica, in Storia della letteratura italiana, vol. IX, Salerno, Roma 1997, p. 413). 

In particolare si può ricordare che negli anni Novanta del secolo scorso, lo storico svedese Tore Frangsmyr (1938-2017) ha proposto l’impiego del vocabolo «evoluzione» per designare correttamente le cosiddette “rivoluzioni” tecniche ed economiche: secondo alcuni studiosi, quindi, sarebbe giusto parlare di evoluzione scientifica, evoluzione agricola ed evoluzione industriale. 

Il punto è che, ad esempio, la «rivoluzione copernicana» e la «rivoluzione scientifica galileiana» non sono delle rivoluzioni, se ci atteniamo all’etimologia di questo termine.

Quella dei progressisti come Valli è una strategia per far credere che le loro ideologie siano pietre miliari del cammino umano e manifestazioni naturali e inevitabili della civiltà, al pari dell’invenzione della ruota... Risulta interessante soffermarsi sulla scelta dei vocaboli operata da Valli: egli associa la parola terrorismo (nata con la rivoluzione francese) ai processi dell’Inquisizione cattolica, contrapponendo quest’ultima all’illuminismo, che è invece l’ideologia da cui il terrore è effettivamente scaturito. 

La parola rivoluzione, etimologicamente, deriva dal latino revolutio, che significa “ritorno”, evocando l’idea di un ciclo che si chiude, un ritorno allo stato iniziale. Tuttavia, fenomeni storici come le cosiddette rivoluzioni scientifica, agricola e industriale non rappresentano affatto un ritorno al passato, ma piuttosto dei cambiamenti radicali che hanno trasformato in maniera irreversibile la conoscenza umana e l’economia mondiale.

Le espressioni «rivoluzione scientifica», «rivoluzione agricola» e «rivoluzione industriale» sono parte di un linguaggio che riflette una precisa prospettiva ideologica. Queste espressioni sono state introdotte e consolidate da pensatori con una visione progressista della storia, che avevano chiaramente l’intento di collegare in modo diretto le loro rivoluzioni ideologiche (quella protestante, quella americana, quella francese e tutte le altre), a trasformazioni economiche e tecnologiche decisive nel cammino dell’umanità. Utilizzando il termine rivoluzione, costoro hanno cercato di attribuire alle loro lotte politiche e sociali il merito dei progressi in ambiti separati come la scienza, l’agricoltura e l’industria. Copernico e Galileo ateo-razionalisti non erano, ma si vuole a forza farli apparire come tali.

La “catena della rivoluzioni” è una forma di ragionamento che è molto utile ai progressisti per accusare i loro oppositori di aspirare a un ritorno all’età della pietra, è una strategia pseudodialettica che gli serve per associare chi non la pensa come loro a interpretazioni della realtà squilibrate come quella che introduce il celebre manifesto neo-luddista di Unabomber: «La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state un disastro per la razza umana» (Theodore J. Kaczinsky, La società industriale e il suo futuro). Le stolide battute dei progressisti sono sempre le stesse: «Ma come? Volete tornare all’antico regime? Quindi all’analfabetismo, e niente cellulari!», «Volete la tradizione e usate i computer?»

Queste sono tutte sciocchezze, partorite da chi non conosce minimamente il tradizionalismo e i suoi principii. 

Ogni serio tradizionalista sa che la tecnologia non è malvagia per natura, tutto dipende dall’uso che si fa di un determinato strumento. I tradizionalisti non sono mai stati contrari al progresso tecnico, bensì vogliono vivere nel presente come vivrebbero oggi gli uomini del passato: quella dei tradizionalisti è una battaglia valoriale, non si tratta di rimpiangere il telefono a gettoni o altre stupidaggini. 

Riferendosi ai mutamenti storici di cui abbiamo trattato, perciò, è opportuno sostituire rivoluzione con evoluzione. Tale scelta offre una visione più accurata e non ideologicamente caricata di questi processi. Questo cambiamento terminologico sottolineerebbe per altro in modo più deciso la complessità dei processi storici, evidenziando come le trasformazioni epocali siano il risultato di una serie di sviluppi le cui connessioni non sono tanto dirette quanto alcuni divulgatori ideologizzati vorrebbero far credere.

La scelta delle parole con cui si descrivono i fenomeni storici non è mai neutra.

Riccardo Pasqualin


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