lunedì 4 marzo 2024

Il Portastendardo di Civitella del Tronto n. 33 (marzo 2024)

 

Il Green Deal voluto dall’Unione Europea


Una tendenza sempre più in uso è l’anglicizzazione dei vocaboli abitualmente utilizzati nel linguaggio politico. È il caso del termine green che, tradotto nella lingua italiana, significa verde. Un colore che i sostenitori del “pensiero unico” identificano con la cosiddetta “eco-sostenibilità”. La quale propone l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e di prodotti cruelty-free (liberi da crudeltà): di prodotti, cioè, che per essere realizzati non necessitano di materie prime di origine animale o testati su animali. Ecco presentato il green deal europeo. È chiaramente un programma ideologico secondo il quale i cambiamenti climatici e il degrado ambientale costituiscono una minaccia per l’Europa e per il mondo. Per superare le sfide, il Green Deal europeo vuole trasformare l’UE in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, sperando che nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; la crescita economica venga dissociata dall’uso delle risorse; nessuna persona e nessun luogo siano trascurati. Tutto ciò al fine di dare la possibilità “alle generazioni future di poter godere della bellezza e delle risorse del pianeta, che al contrario si consumerebbero in breve tempo dando origine a stravolgimenti climatici n grado di mettere a serio rischio l’esistenza della vita animale e vegetale”. 

Siamo proprio sicuri che tutto ciò sia vero ed utile al progresso del genere umano? Noi pensiamo che la transizione green voluta dagli euro-burocrati di Bruxelles sia un frutto avvelenato che avrà notevoli aggravi economici derivanti dalle politiche che si vogliono attuare per giungere (ma ciò non avverrà) nel 2050 alle emissioni zero. Il net zero (zero emissioni nette) teorizzato da Bruxelles necessita di una trasformazione che è stata paragonata ad una rivoluzione industriale che dovrà essere guidata principalmente dalle politiche pubbliche le quali introdurranno necessariamente la sobrietà (vale a dire l’austerità) e l’abbandono dei combustibili fossili. 

Una grande società di consulenza, attraverso un convegno, ha spiegato in modo semplice e diretto che per imporre la transizione green al vecchio Continente è stato necessario ricorrere ad un grande choc. In assenza dell’evento traumatico, non sarebbe stato possibile avviare in tempi rapidi il percorso che prevede il passaggio dalla società basata sui carboni fossili a quella sostenuta dalle rinnovabili. Le scelte politiche green dell’UE non nascono dai progetti, pur sempre discutibili, di esponenti del parlamento. Se così fosse, sarebbe un problema meno allarmante. In realtà, i progetti green vengono suggeriti da gruppi di pressione foraggiati da ONG liberal in maggioranza americane. Questi gruppi di pressione, di matrice progressista, influenzano pesantemente le politiche ambientali ed industriali dell’UE indirizzando il contenuto dei provvedimenti legislativi in maniera determinante. L’UE, nella sua astratta concezione della realtà socio-politica nella quale opera, pretende di mettere l’economia al riparo dalle scelte politiche, istituendo un intreccio di norme tecniche le quali dovrebbero tutelare mercato e concorrenza, salvaguardando il sistema della discrezionalità della politica. In realtà, accettando l’assalto delle potenti fondazioni americane, Bruxelles fa esattamente il contrario incorporando nei processi decisionali le inclinazioni politiche rigettate in teoria. I popoli europei si sono visti imporre dall’U. E. un vero e proprio salto verso il green a tutti i costi. I soliti portatori di acqua all’ideologia green si sono spinti a chiedere l’introduzione di un reato specifico per punire i negazionisti dell’ambiente. In pratica, sostenere che il green è il frutto di scelte politiche sbagliate potrebbe essere punito con il carcere. Siamo in presenza di un grottesco paradosso: lo Stato che si proclama liberale diviene illiberale con i consenso di coloro che si definiscono democratici. E tutto ciò per impedire che nel dibattito politico possa entrare un’opinione dissenziente. Tutto ciò rimanda all’idea di bavaglio. Non a caso, John Clauser, premio Nobel per la Fisica nel 2022, a proposito della narrativa corrente sul cambiamento climatico ha affermato, andando fuori da coro: «La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica. A sua volta se ne è fatto il capro espiatorio di una miriade di mali non correlati». 

Il green è diventato una ideologia che ha tramortito tanti settori economici. È stato scritto che nelle riunioni della Commissione non viene distribuito alcun documento preparatorio prima delle riunioni e si riscontra l’assenza di argomentazioni fondate su basi scientifiche. Alle critiche avanzate da vari settori parlamentari, il commissario Maread Mcguinnes ha risposto: «Mentre la Commissione fornisce supporto di segreteria al lavoro della piattaforma, la Commissione rispetta l’indipendenza della piattaforma, anche nel funzionamento interno dei diversi sottogruppi» (La Verità, 8 maggio 2023, p. 6). Il green deal ha messo in luce una nuova realtà: la transizione verde voluta dall’UE vede nell’agricoltore un elemento di contrasto con l’ambiente. Non a caso, l’idea degli euro-burocrati di far chiudere migliaia di stalle per limitare le emissioni ha generato proteste in tutta l’Europa. Ovunque è stato denunciato un eccesso di regole europee che obbligano gli agricoltori a diminuire le superfici coltivate. Farm to fork esclama l’UE. Ma cosa è questo ulteriore incomprensibile trilemma? I protocolli dell’UE danno la seguente definizione: «Farm to Fork (F2F) è il piano decennale messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. È la prima volta che l’Unione europea cerca di progettare una politica alimentare che proponga misure e obiettivi che coinvolgono l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo, passando naturalmente per la distribuzione. L’obiettivo di fondo è rendere i sistemi alimentari europei più sostenibili di quanto lo siano oggi. Ogni Stato membro dell’UE dovrà seguirla, adottando norme a livello nazionale che consentano di contribuire a raggiungere gli obiettivi stabiliti dell’UE. I Paesi membri godranno di eventuali misure di sostegno aggiuntive nel corso dell’implementazione della strategia». L’UE sostiene Farm to fork, secondo noi, per obbligare i coltivatori dell’agricoltura, a diminuire le superfici coltivate e alla rotazione dei cereali, mettendo di conseguenza i coltivatori fuori dal mercato. Dal mondo dell’Agricoltura, l’Europa ha già ricevuto una risposta concreta. Perché se l’UE professa l’ideologia verde come una religione, deve fare i conti con il mondo del reale, il mondo dei contadini che combatte la transizione (verde) con l’insurrezione. La furia della Commissione europea verso il mondo dell’agricoltura ha qualcosa di inspiegabile. Essa vorrebbe azzerare la produzione agricola ritenendola “nemica dell’ambiente”. 

Circola in Europa un documento economico sul quale i media hanno steso un obbediente silenzio. Si tratta di uno studio commissionato dalla penultima premier francese, Elisabeth Borne, a due economisti di fama: Jean Pisam-Ferry e Selma Mahfouz. È un rapporto stilato per valutare gli impatti macroeconomici della cosiddetta transizione climatica. Il rapporto, pubblicato nel novembre del 2023 è stato realizzato con il contributo di circa 100 esperti del mondo colto francese. Lo studio analizza gli impatti economici delle politiche europee per arrivare all’emissione zero nel 2050. Ne emerge un quadro che mette in luce tutte le contraddizioni imposte dall’Europa per raggiungere l’obiettivo. È la negazione del green deal con l’affermazione di alcune scomode verità. Analizziamole. Il net zero richiederà una trasformazione su una scala paragonabile a una rivoluzione industriale che sarà globale e guidata da politiche pubbliche e non da innovazioni tecnologiche. Tale trasformazione si baserà sull’austerità. Il debito pubblico aumenterà ed assisteremo alla macelleria sociale. Nel citato rapporto si afferma che la transizione climatica è intrinsecamente fonte di diseguaglianza. È scritto: «Per una famiglia della classe media ristrutturare una casa e cambiare l’impianto di riscaldamento o sostituire un veicolo convenzionale con uno elettrico costa l’equivalente del reddito di un anno». Altra verità scomoda: la pressione sui prezzi introdotta dalla transizione determinerà pressioni inflazionistiche nel prossimo decennio. Le conclusioni dello studio sono agghiaccianti: pioveranno nuove tasse, assisteremo ad un aggravio dell’indebitamento pubblico e privato, saliranno l’inflazione e l’impoverimento delle categorie sociali, con il rallentamento economico e una maggiore imposizione coercitiva di Bruxelles sugli Stati membri. 

Con il patto di stabilità ultimo, approvato all’inizio di febbraio 2024, è stata raggiunta un’intesa tra le forze politiche sulla riforma della governance economica. I regolamenti europei sostengono che «l’espressione fa riferimento al sistema di istituzioni e procedure posto in essere al fine di conseguire gli obiettivi dell’Unione in ambito economico, ossia il coordinamento delle politiche economiche volto a promuovere il progresso economico e sociale a vantaggio dell’UE e dei suoi cittadini». Or bene, le nuove regole obbligano gli Stati ad assicurare gli investimenti nelle aree prioritarie UE quali transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa. In pratica, dal green al digitale, dal welfare alle pensioni, tutto sarà deciso a Bruxelles. Ad essere condivise, resteranno le modalità di attuazione. Il patto di stabilità sottoscritto servirà a rientrare dal debito pubblico e a realizzare grandi piani “europei” di trasformazione green e digitale. E se non verranno raggiunti gli obiettivi stabiliti dall’UE, verrà introdotto un percorso di tagli molto più veloce. Nel patto di stabilità è scritto a chiare lettere: «Se uno Stato membro percorre la strada dell’aggiustamento fiscale concordato, ma fallisce gli obiettivi di riforma e di messa a terra degli investimenti previsti, allora la Commissione introdurrà un percorso di tagli molto più breve». 

Un nuovo studio, sempre di scuola francese, ha messo in evidenza i costi della transizione energetica ed ha rilevato che tali costi non sono sostenibili senza un massiccio intervento di soldi pubblici. Fatto impossibile per le regole fiscali europee vigenti che sono improntate al taglio di deficit e debito pubblico. Perciò pensiamo che il green deal voluto dalla Commissione Europea sia a rischio per via dell’austerità imposta dalla stessa Commissione. 

La transizione green non ha dimenticato di mettere le mani sugli istituti di credito e sui risparmi privati. È allo studio la possibilità di cancellare gli attuali limiti alle fusioni sovranazionali degli istituti di credito. Ufficialmente per mettere le banche europee in condizione di respingere eventuali aggressioni dei colossi americani. Le banche italiane, le poche rimaste sul mercato, rischiano di essere cancellate. Al momento ciò non è possibile per la norma esistente sul Golden Power. Ma, a livello europeo, il rischio è quello che la norma nazionale potrebbe essere superata o neutralizzata con apposita legge. Se ciò si avvera, la raccolta nazionale del risparmio gestito finirebbe tutta all’estero. Non è casuale che si sta entrando nella convinzione giornalistica che nei prossimi mesi e anni ci saranno trasformazioni nei settori ambientali, digitale, strategico e militare e si sostiene già che tutto ciò comporterà la necessità di avere gruppi bancari europei e non nazionali. Intanto dobbiamo registrare uno strano fatto. Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha puntato il dito su 10.000 miliardi di euro fermi sui conti correnti delle famiglie nei 27 Paesi membri dell’UE. Di questi miliardi di euro, 1.600 sono italiani. Il ministro ha proposto alla Commissione Europea di utilizzare il denaro dei risparmiatori per investirlo nella transizione green. Ha fatto eco a tale richiesta Mario Draghi il quale ha invitato tutti i paesi europei ad unire gli sforzi per mettere a disposizione dell’Europa i soldi. È o non è un sostegno alla proposta francese?

Ora, dall’Europa giunge l’ennesima anche se non ultima, in ordine di tempo, follia: in nome del green si dovrebbero buttare via gli imballaggi riciclati, voluti dalla stessa Europa, per sostituirli col vuoto a rendere. La Commissione Europea vuole imporre questo regolamento sugli imballaggi per negare precedenti regolamenti voluti un decennio fa. L’attuale Commissione è giunta al termine del mandato ma tutti i provvedimenti green hanno la precedenza assoluta per essere approvati prima delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Tutto ciò è contrario ai bisogni reali delle popolazioni europee ma non è una ragione sufficiente per indurre i governanti europei a modificare le disposizioni in materia di green. Anzi. Questa Commissione è giunta a proporre una bottiglia di vetro uguale per tutto: dallo shampoo al vino. Indifferente al richiamo di ogni bottiglia quale fattore di riconoscibilità e di qualità del prodotto. Abbiamo assistito alle rivolte degli agricoltori di tutta Europa ed a tale proposito si è scritto con grande lungimiranza che “l’ideologia verde professata a Bruxelles come una religione non facendo i conti con la realtà porta non alla transizione, ma all’insurrezione” (Carlo Cambi, La Verità, 25 gennaio 2024). 

Ignoriamo i motivi che hanno spinto la Commissione Europea a scegliere il green o verde per le battaglia di trasformazione epocale della nostra esistenza. Agli albori del Medio Evo, quando i mercanti si cominciarono a stabilizzare nelle città abbandonando i carri delle merci che trasportavano di mercato in mercato per aprire degli stabili negozi, sorsero gli statuti comunali i quali prevedevano, tra le altre disposizioni, delle pene severe per i mercanti debitori e insolventi. A costoro veniva imposto di indossare per un lungo periodo un berretto di colore verde. Di qui nacque l’espressione di essere al verde. 

Giunti al termine di questo vagabondaggio tra le norme dell’UE, vogliamo ricordare quel che don Gómez Dávila, scrisse, con grande ironia: «Riformare la società per mezzo di leggi è il sogno del cittadino incauto e il preambolo discreto di ogni tirannia». 

Abbiamo di fronte una corazzata che intende cambiare i nostri stili di vita. Non abbiamo paura della sua potenza di fuoco perché poniamo tutte le nostre speranze nell’aiuto del Signore. 

Allora, preghiamo. Preghiamo con insistenza e con costanza. Le forze del male non prevarranno.  

Il Presidente degli Incontri 
Tradizionalisti di Civitella del Tronto
Dott. Francesco Maurizio Di Giovine
Commendatore dell’Ordine 
della Legittimità Proscritta


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