Perché non ho mai sentito parlare del Carlismo?
Considerazioni dopo una conferenza
Università d’estate dell’Osservatorio Van Thuân, Meta di Sorrento, luglio 2022.
Dopo la mia conferenza, dal titolo Il Carlismo: modello civile e dottrina
politica, vengo avvicinato da un uditore, che mi domanda: «Come è possibile
che io sia arrivato alla soglia dei settant’anni e non abbia mai, dico mai
sentito parlare di Carlismo?».
Purtroppo – temo – molti altri presenti alla conferenza
avrebbero potuto pormi la stessa domanda. E i pochi che in Italia conoscono il
Carlismo, spesso lo considerano legato a mere questioni dinastiche, riguardante
il solo Ottocento, e, soprattutto, qualcosa di esclusivamente spagnolo: tre ottimi
motivi per ignorarlo.
Infatti, soprattutto nel settentrione della Penisola italiana, tutto ciò che “sa” di spagnolo è considerato con sufficienza, se non con disprezzo; invece, si ha un senso di riverenza e sudditanza verso tutto ciò che sa di “europeo” (cioè francese, inglese e tedesco). L’enorme cultura ispanica, che non è stata corrotta dalla “Riforma” protestante né pesantemente influenzata dall’Illuminismo, viene semplicemente ignorata.
Del resto l’Italia è il Paese di Manzoni, il cui romanzo I promessi sposi, fatto studiare in tutte le scuole di ogni ordine e grado, trasuda antispagnolismo da ogni pagina e costituisce una pietra miliare dello stesso percorso risorgimentale.
Ma l’Italia è anche il Paese dell’opera lirica: eppure nei numerosissimi teatri lirici della Penisola mai – dico mai – è approdata una – dico una – zarzuela. A teatro, Calderón de la Barca è noto al grande pubblico solo per il dramma La vita è sogno e Lope de Vega soltanto per Fuenteovejuna,Sul versante della narrativa, tutti conoscono il personaggio
il Don Chisciotte, ma hanno letto le sue avventure in adattamenti destinati
a bambini e fanciulli, mentre il romanzo completo non viene quasi mai studiato
integralmente da adulti. I nomi di José María de Pereda, di Emilia Pardo Bazán, di Ramón Valle-Inclán sono pressoché ignoti. Ma non va bene
neppure agli scrittori liberali: La Regenta di Clarín è conosciuta solo
agli specialisti di letteratura ispanica e solo alcuni recenti scrittori (da Arturo
Pérez-Reverte a Carlos Ruiz Zafón) hanno costituito un fenomeno più editoriale che
letterario.
Non parliamo poi della fiesta nacional, della corrida: basti vedere i commenti che la
maggior parte degli Italiani lascia in calce ai video degli encierros (non solo quello di Pamplona) o dei recortes: parole piene di astio,
che denotano nel miglior caso un’assoluta ignoranza della cultura ispanica e
nel peggiore un asservimento alla mentalità animalista di stampo progressista (e
questo nonostante quella stessa mentalità progressista, traumatizzata dall’effusione
del sangue taurino, consideri poi tranquillamente l’aborto come un inalienabile
diritto…).
Insomma, l’antispagnolismo, che in Italia dal romanzo di
Manzoni (apparso inizialmente nel 1827) ebbe un fortissimo impulso e che si
consolidò ben oltre il periodo risorgimentale, non riguarda solo il Carlismo,
ma trascina nel baratro dell’ignoranza tutta la cultura ispanica: dalla Reconquista
alla scoperta dell’America, dalla Monarchia cattolica alla Scuola di Salamanca,
dal teatro del Siglo de Oro alla letteratura ottocentesca, dalla zarzuela alla corrida.
Il Carlismo, distillato del miglior pensiero politico ispanico,
subisce l’identico destino e gli stessi tradizionalisti italiani, che si inchinano
di fronte a Burke, a de Maistre e a Toqueville, che citano (spesso a
sproposito) Chesterton e Belloc, sembrano non accorgersi né di Balmes, né di Vázquez
de Mella, né di Elías de Tejada.
Il dramma è che forse davvero non li conoscono.
Perché chi li conosce viene affascinato dal loro pensiero e
conquistato dal Carlismo. Oppure, se milita su un fronte opposto (progressista,
moderato o conservatore, fa lo stesso), preferisce combatterli attraverso il
silenzio, essendogli impossibile ribattere alle loro argomentazioni.
Gianandrea de
Antonellis
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